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Categoria: Comunicattive

Le comunicAzioni importanti di MARCIONA

Report tavolo SCUOLA – Rete NazioAnale TFQ

Posted on 2021/01/16 - 2024/04/11 by phrocissime
Il 7 e 8 novembre la rete nazioanale tfq, nata nel contesto di Marciona2020 durante la prima fase pandemica, ha deciso di convocarsi come rete dopo l’esperienza del Coordinamento Pride tfq della scorsa estate, che ha costituito l’avvio di un percorso politico collettivo transterritoriale nazioanale attraversato da singol*, realtà organizzate, collettivi e altre reti territoriali. 
Durante l’assemblea si sono tenuti diversi tavoli di discussione e tra questi un focus sulla questione Scuola, ora più che mai al centro del dibattito pubblico. Abbiamo scelto di condividere le riflessioni emerse considerata l’urgenza dell’argomento e della presa di parola transfemminista queer.
TAVOLO SCUOLA 
Il tavolo scuola ha decostruito le retoriche sull’istruzione come campo “neutro” o come “servizio” identificando la sua funzione di riproduzione sociale istituzionalizzata. Abbiamo riflettuto su cosa significhi questo proprio ora nel contesto pandemico e in regime di didattica a distanza, sia dal punto di vista della “cura” che dal punto di vista delle tecnologie. Questo ci ha permesso di smascherare le iniziative “dall’alto” su genere e parità e allo stesso tempo affinare le nostre strategie per contrastare binarismo di genere, razzismo classismo nell’educazione. Sono emerse proposte operative che ci porteranno a continuare questa discussione in modo più allargato.         
                               
a) Scuola e lavoro riproduttivo: l’educazione è (anche) lavoro riproduttivo? Welfare? Lavoro di cura? Lavoro e basta? Quale è il rapporto/conflitto tra le lotte per il diritto all’istruzione e le lotte delle soggettività femminilizzate messe al lavoro dal sistema educativo? 
 
In tempo di pandemia si sono polarizzate due distinte visioni del sistema educativo: la scuola come welfare/lavoro riproduttivo o la scuola come “didattica pura”. In particolare questa dicotomia si è evidenziata nel dibattito sull’apertura o chiusura in tempo di pandemia, in modi alquanto diversi a seconda della visione complessiva dell’educazione oppure la stessa visione ha portato a posizioni contrapposte.                                         
Un primo esempio è rappresentato dalla contrapposizione tra il diritto alla salute degli insegnanti e l’idea che la scuola sia una priorità, quando genitori e insegnanti sembravano sostenere uno o l’altro, mettendo in discussione il diritto di sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori a settembre, quando le richieste di un’apertura in sicurezza e con investimenti di denaro e spazi erano state disattese. Per noi la relazione tra welfare e lavoro riproduttivo è inscindibile, e crediamo che la decostruzione di questa dicotomia sia necessaria per riconoscere e connettere le lotte sindacali all’interno dell’educazione. Un secondo esempio, più “interno” ai femminismi e transfemminismi riguarda la funzione del sistema educativo, dove alcune considerano la scuola come una forma di erogazione di welfare o come un “servizio” mentre altre vedono l’importanza della scuola nella sua funzione pedagogica, educativa e di costruzione di conoscenze. Questo porta a non comprendere l’esigenza, espressa da tantu di noi, di tenere aperte le scuole fin quando possibile, in questo periodo pandemico, poiché si scambia la rivendicazione per un diritto universale all’istruzione, il valore della relazione nel sistema educativo (non solo relazione con chi insegna ma, soprattutto relazione tra pari e costruzione di socialità sempre più complesse a seconda dei gradi di istruzione) con mera complicità con Confindustria e con l’esigenza di mantenere alti livelli di produzione a discapito della salute pubblica. Riteniamo che queste dicotomie siano solo astratte e non tengono conto della materialità dell’educazione come istituzione, da un lato, e processo di formazione di socialità al contempo: si tratta di vera e propria riproduzione sociale istituzionalizzata e organizzata. Non riconoscere la dimensione della riproduzione sociale tra le funzioni della scuola, concentrandosi sulle funzioni di “servizio”, non permette di comprendere come l’alternativa alla scuola resti esclusivamente la famiglia, u
na delle istituzioni che da sempre riconosciamo come sede della violenza di e del genere. La visione della scuola come mero welfare è pericolosa perché finisce per considerare la scuola come erogatrice di un “servizio” e le “famiglie” e studenti come “utenti”, e questo si avvicina molto alla visione dei comitati NOGENDER che ritengono sia diritto dei genitori influire sull’offerta didattica, in particolare per ostacolare e sabotare qualsiasi progetto di educazione alla sessualità, affettività, e genere. Allo stesso tempo la visione della scuola come “didattica pura” dimentica la dimensione del lavoro “riproduttivo” o “di cura (lavoro affettivo, relazionale) pagato” che in essa si svolge, come se questo avesse meno dignità del lavoro didattico-educativo. La volontà di alcuni femminismi di cancellare la dimensione riproduttiva dal “lavoro” dell’educazione sembra provenire dall’interiorizzazione di un certo emancipazionismo oppure da una certa misoginia che valorizza la dimensione produttiva del sapere a discapito di quella della “cura”. Sono anni che mettiamo al centro la riproduzione sociale nelle nostre lotte ed in qualche modo la scuola ci sembra luogo privilegiato d’osservazione e intervento perché è il fulcro della riproduzione sociale istituzionalizzata, ed infatti è qui che si giocano le maggiori battaglie su un dispositivo di potere per noi al centro dell’analisi e delle lotte: il genere, all’intersezione con classe/razza/abilità. 
                                        
Viviamo da decenni lo smantellamento della scuola pubblica, con pochi investimenti e precariato diffuso. Ora più che mai, con la chiusura e il passaggio alla DAD si evidenzia come l’esclusione avvenga all’intersezione tra status economico e fenomeni di razzializzazione delle e degli studenti. 
                                        
La battaglia sulla redistribuzione non riguarda solo il denaro ma anche le risorse tecnologiche – da anni facciamo battaglia su internet pubblico accessibile, ad esempio. La DAD richiede accesso universale alla tecnologia, ma quale tecnologia? Le grandi piattaforme come Google già offrono a scuole, insegnanti e student* infrastrutture, spazio e tecnologie gratuitamente e siamo a un passo dalla distribuzione gratuita di tablet da parte di Google o altre multinazionali allu studentu di tutte le scuole, ma ci dovremmo chiedere verso quale scenario si sta muovendo la scuola tentando di rimediare al digital divide appoggiandosi a grandi multinazionali: dovremmo tenere conto del fatto che esistono tecnologie libere e open source. Come avviene la distribuzione? Sta iniziando una strana selezione meritocratica in alcune realtà, chi sa utilizzare i device li riceve e chi mostra di non saperli usare adeguatamente invece resta escluso, questo è un altro lato dell’ingiustizia e arbitrarietà diffusa in questo momento pandemico. 
                                        
Allo stesso tempo dobbiamo tenere conto del diffuso analfabetismo digitale e lo stato emergenziale in cui versa la scuola in questo momento. La questione allora diventa, più che il contrasto in toto alle piattaforme proprietarie, come usare in maniera creativa questi strumenti che ci vengono dati, per ridurre il danno e per aprire spazi digitali relazionali in particolare per quell* studenti con certificazioni, bollini, etichette, fragilità socio economiche? Ad esempio: fare pressioni sulle case editrici per avere i libri online. Se riuscissimo a mappare i nostri bisogni riusciremmo a fare autoformazioni per aiutarci a limitare i danni. Sulla tecnologia resta un problema, se ne parla sempre da un punto di vista meramente tecnico, mentre andrebbe affrontata anche dal punto vista umanistico per imparare ad agire la tecnologia e non essere “agiti” da questa, o alienat* attraverso di essa. 
                                        
b) Scuola e lavoro “del genere”: come il gender entra nelle scuole ma nel modo sbagliato? Come riappropriarci del diritto di parola su questo nel sistema attuale (linee guida parità di genere/educazione civica/legge Zan ecc…) 
                                                                                                   
Viviamo da anni le conseguenze di una postura politica precisa dall’alto rispetto alla possibilità di occuparsi di questioni di genere nelle scuole: l’ambiguità delle direttive/linee guida/leggi che non permettono di capire cosa si può o non si può fare e isolano le persone che tentano di lavorare in questo senso. 
                                        
Lo abbiamo visto accadere con le “Linee Guida Educare al rispetto: per la parità tre sessi, la prevenzione della violenza di genere di tutte le forme di discriminazione” del 2015, dove si afferma che “tra i diritti e doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo le ideologie Gender”, senza specificare a cosa esattamente si riferisca il testo. Lo vediamo accadere oggi con la modifica al comma 3 dell’art.6 della Legge Zan, che, se da una parte istituisce una giornata nazionale contro le discriminazioni, dall’altro rimanda all’approvazione delle singole scuole, previa firma del “patto di corresponsabilità” da parte dei genitori, ogni tipo di intervento, anche solo rituale o celebrativo in questo senso. E se all’articolo 8 si rimanda all’UNAR per l’ elaborazione di strategie triennali per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere, noi non dimentichiamo la Strategia Nazionale LGBT del 2013 (http://www.unar.it/wp-content/uploads/2017/12/LGBT-strategia-unar-17_24.pdf ) mai applicata, o le raccomandazioni europee (http://www.comune.torino.it/politichedigenere/bm~doc/raccomandazionecmrec20105.pdf. Quindi se da un lato accogliamo il tentativo, dall’altro continuiamo a chiedere più del ddl Zan e soprattutto delle linee definitive che non lascino spazio ai no gender e che non continuino a lasciarci con le spalle completamente scoperte, ricattabili e obbligati, dove riusciamo, a un’iper-esposizione. 
                                        
Genere (e castrazione del genere) “si fa” dalle scuole dell’infanzia fino alla fine del ciclo scolastico, in modo informale e normativo passando per l’etero-sessismo implicito a tutto il sistema educativo e alla società. Il genere “si fa” a scuola costantemente nelle discipline, nella direzione dell’eteronorma, in particolare nelle discipline scientifiche e tecniche, perché spesso anche insegnando la materia si riproduce l’eteronorma. Talvolta questo è più insidioso dell’annoso problema degli insegnanti di religione cattolica, i quali affrontano in maniera esplicita le questioni di cui non dovrebbero occuparsi. Il ddl Zan formalizza che le progettualità di contrasto a questa costruzione normativa del genere devono continuare a superare una serie di passaggi burocratici. 
                                        
Ovviamente anche noi facciamo e disfiamo il genere a scuola, abbiamo delle strategie e vorremmo implementarne altre. Da un lato approfittiamo di ogni “interstizio” che si dà nella programmazione ufficiale. I progetti su bullismo permettono di parlare di sessismo, omolesbobitransfobia. Focus su cyberbullismo è un altro modo di fare hacking per parlare di genere nelle tecnologie, per parlare della violenza e discriminazione nelle tecnologie, salvo che la maggioranza delle scuole preferisce una lezione della polizia postale a interlocutori “scomodi”. Anche una generica titolazione “educazione alle differenze”, a seconda del contesto, può legittimare il discorso sul genere. 
                           
Ma dovremmo essere in grado di attraversare altri “momenti” della programmazione come l’educazione alla salute, dove a parlare di HIV e salute riproduttiva ci sono le ASL, e il grande progetto dell’Educazione Civica. Per quest’ultima materia, nuova di 33 ore annue sono state indicate delle Linee Guida di stampo nazionalista, e serve l’impegno del singolo ad accollarsi quella che si chiama “funzione strumentale” per poterci mettere mano. C’è chi lo ha fatto, cercando di minimizzare le ore obbligatorie sulla “storia della bandiera d’Italia” e puntando sull’Agenda 2030 dell’ONU sulla sostenibilità, che permette di intervenire criticamente su “accesso all’istruzione”, “uguaglianza di genere”, “riduzione delle disuguaglianze tra paesi del mondo”, “ambiente”, ecc… Va d’altro canto presa in considerazione la crescente richiesta da parte delle/degli studenti di affrontare questi temi anche se questo riguarda solo pochi settori/indirizzi dell’istruzione secondaria, come i licei in aree urbane. 
                                        
Esistono pratiche condivise di/per studenti transgenere e sarebbe il caso di avviare una mappatura, in grado di connettere queste esperienze o utile alla condivisione di materiali e strategie.
Ci sono scuole invece, come istituti professionali “maschili” dove essere una persona LGBTQIA+ è addirittura pericoloso per l’incolumità psico-fisica. Un’altra strategia è quella di invitare dei visiting-teacher LGBTQIA+ a fare lezioni incentrate sulle competenze e non sul gender(!). Così come resta fondamentale ragionare sull’implied learner quando si fanno i programmi per le materie, perché abbiamo interiorizzato che chi impara è neutro, cioè maschio bianco eterocis. Pertanto bisogna individuare e contrastare atteggiamenti eterosessisti espliciti ed impliciti nell’insegnamento delle discipline (rimuovere “l’implied learner”: maschio, bianco, etero, cis…)
                                        
Ma abbiamo bisogno di qualcosa di più delle strategie che singolarmente possiamo mettere in campo e che presuppongono coraggio e contesti non troppo escludenti e reazionari. Abbiamo già tentato di mettere in condivisione materiali ma la modalità “drive” si è mostrata poco funzionale perché diventa un’accumulazione di materiali poco ordinata e quindi poco fruibile. Ciò non toglie che vada trovata una modalità più efficace. Inoltre i “materiali” che vengono accettati nelle scuole devono avere legittimità accademica, non possono essere autoprodotti nel momento in cui usciamo dalla lezione alla singola classe ma cerchiamo di implementare cambiamenti più strutturali attraverso progetti, funzioni strumentali, ecc. Inoltre chi si relaziona alle scuole con “progetti” dall’esterno segnala gravi difficoltà ad interfacciarsi come realtà e collettivi informali. Per questo riteniamo necessario trovare forme di output dell’attivismo, forme “istituenti” che siano capaci di impattare a livello istituzionale, canali per cambiare le istituzioni. Avere un soggetto informato capace di relazionarsi in maniera dialettica e conflittuale con la scuola potrebbe essere tatticamente importante. Vorremmo quindi organizzare incontri per capire come dare una forma sia legale, quali sono le priorità e gli obiettivi, come avviene la formalizzazione burocratica. 
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Memoria collettiva e lotta trans

Posted on 2020/11/20 - 2024/04/11 by phrocissime
Oggi è il Giorno di Commemorazione Trans.
Sentiamo l’esigenza di prendere parola per ricordare: ricordare chi è oppress dal patriarcato cis-sessista e soffre la violenza transfobica e transmisogina che nella vita quotidiana è tutt’altro che invisibile. La transfobia non è “paura” nei confronti delle persone trans*, ma è odio e rifiuto verso l’autodeterminazione delle persone trans*. Questo tipo di violenze raggiunge l’apice negli omicidi transfobici e nello specifico nei transfemminicidi, perciò oggi ricordiamo le sorelle e i fratelli uccisi. Crediamo che sia importante portare avanti la memoria di queste persone che facevano parte della nostra comunità, perché ci ricordano che c’è sempre molto per cui lottare. Ci ricordano che innanzitutto dobbiamo lottare per le nostre vite, per rimanere in vita. La memoria e la lotta sono collegate e non si portano avanti solo una volta l’anno.
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Ci teniamo a ribadire che la violenza transfobica non si manifesta soltanto quando un caso di cronaca fa scalpore, ci commuove, ci fa male, ma è violenza strutturale e parte integrante del sistema di oppressione patriarcale. Questa violenza si manifesta ogni volta che i nostri documenti non riportano i nomi che abbiamo scelto, ogni volta che ci è reso quasi impossibile adeguare i nostri documenti, ogni volta che le autorità utilizzano quei documenti per sovradeterminare chi siamo. Le autorità, che siano rappresentate dallo sbirro di turno o da un funzionario amministrativo, non devono imporci categorie di genere fisse; come non devono limitare la nostra libertà di movimento sulla base della nazionalità scritta sui nostri documenti. Lo Stato si arroga il diritto di controllare le nostre vite; agisce in prima persona e legittima quella violenza transfobica e razzista che è intrinseca negli usi dei documenti da parte delle autorità.
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Infine, crediamo che la commemorazione non debba passare dalla spettacolarizzazione degli omicidi transfobici, ma è attraverso la lotta che il ricordo delle persone trans* uccise diventa forza collettiva. La memoria per noi non può essere fine a sé stessa, ma diventa rabbia e di conseguenza attacco al sistema che agisce queste violenze. Non ci può bastare un necrologio ogni tanto, ci rifiutiamo di rimanere nel ruolo di vittime. 
In quest’ottica abbiamo pensato di consigliare la lettura di due articoli che riflettono sul vittimismo che spesso circonda il Giorno di Commemorazione Trans, riconoscendo l’importanza del tenere viva la memoria e proponendo alternative. Entrambi gli articoli li trovate nell’opuscolo “Spazi Pericolosi. Resistenza violenza, autodifesa e lotta insurrezionale contro il genere”. Il primo, “Una pratica insurrezionale contro il genere: riflessioni sulla risonanza, memoria ed attacco”  lo trovate qui sotto e il secondo “Dalle Candele alle Fiaccole: Vandalismo in Alternativa al Giorno di Commemorazione Trans* e gli Attacchi Trans che verranno” lo potete leggere qui.
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marcione allergiche al binarismo di genere

Una pratica insurrezionale contro il genere: riflessioni sulla risonanza, memoria ed attacco
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Vorrei poter dirti che sono diventat insensibile al dolore dopo tutti questi anni, ma la notizia dell’uccisione di un’altra donna trans mi perfora gli intestini, ogni volta che arriva. Più che scoprire i dettagli dell’uccisione di Deoni Jones, sono qui a respirare con difficoltà e a cercare le parole o le azioni per esprimere il mio odio totale verso la società che produce i ritmi del lutto e della violenza che protegge il genere. Quei ritmi sono gli unici ascoltabili per quelle persone come noi, quelle che cercano una strada fuori dall’orribile canzone del genere. C’è qualcosa dentro me che quasi desidera diventare indifferente a questo ritmo. Ma so che non sarebbe abbastanza per mitigare il riverbero del genere nel mio corpo e nella mia vita quotidiana, suono che ho incessantemente provato a silenziare con ormoni, alcool, droghe e scrivendo saggi stupidi. Ho paura che questo sia uno di quei tentativi inutili.
Molte di noi hanno provato in questo e altri modi a gestire il dolore del genere per conto proprio; ma non c’è niente che possiamo fare per rendere più leggeri i nostri cuori appesantiti, a parte interrompere collettivamente questo ritmo e smantellare il genere nella sua totalità. Avendo questo in testa, elaborerò una proposta per quelle persone stanche della violenza e morte di genere, per la creazione di un nuovo ritmo di vendetta contro l’ordine del genere. 
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Ci sono alcune pratiche che sono state messe in atto da persone che si autodefiniscono “trans radicali” o “anarcofemministe” (che fanno parte di certe sottoculture di attiviste)  in risposta alla questione di genere . Queste pratiche includono laboratori sul consenso, opuscoli sulla transessualità e segnalazioni dei comportamenti “di merda” interni alla loro sottocultura, oltreché feste ed orgie. Non c’è niente di inerentemente “sbagliato” in queste cose, ma se prendiamo sul serio l’idea che dobbiamo distruggere il genere e tutte le relazioni sociali di questa società è chiaro che qualcosa manca in una pratica che affronta il genere solo a livello di uso linguistico e di dinamiche sottoculturali. Se abbandoniamo il modello di attivismo di sinistra e accettiamo il fatto che “i movimenti rivoluzionari non si diffondono per contaminazione, bensì per risonanza”; capiamo che, come minimo, ci siano alcuni problemi col pensiero che questi metodi isolati possano costruire da soli una forza per distruggere il genere. Queste pratiche non sono all’altezza di affrontare direttamente le manifestazioni della violenza di genere e di creare pratiche che risuonino nell’inconcepibile dolore che portiamo nel profondo dei nostri corpi. Dobbiamo costruire un ritmo di lotta che risuoni nei nostri corpi e che costruisca relazioni tra attacco, memoria e il terrore di genere che sperimentiamo nel quotidiano.
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È abbastanza facile iniziare una discussione sulla strategia insurrezionale con la nozione di attacco. Tuttavia molte confondono questo processo con il semplice danneggiare una banca a caso o scrivere un comunicato che dice agli sbirri di farsi fottere. Ovvio, non sono interessat a condannare tali pratiche, sono semplicemente più interessat ad esaminare i modi in cui varie nozioni e metodi di attacco sono posizionati in relazione alla nostra memoria e tutte le emozioni che si sono sviluppate come conseguenza alla violenza di genere che abbiamo sopportato. Se da un lato è abbastanza facile deridere le veglie a lume di candela o il Giorno di Commemorazione Trans*, dall’altro questi momenti servono a creare una continuità e un ritmo di memoria in relazione alla violenza transfobica di cui molte prospettive radicali mancano. Quando sentiamo il nome Deoni Jones oggi e vediamo gruppi di persone rannicchiate sulle candele, non possiamo evitar di pensare a Dee Dee Pearson, Shelley Hilliard, Lashai Mclean, Sandy Woulard, Chanel Larkin, Duanna Johnson, Gwen Araujo e Marsha P. Johnson. Non possiamo evitare che le nostre menti si riempiano delle storie di quelle persone uccise per mano di una società che deve mantere l’ordine di genere a tutti i costi. È così facile perdersi nel dolore che si accompagna a tutto questo, guardarsi le spalle mentre torni a casa tutte le notti sperando che quel rumore che hai appena sentito non sia una persona pronta a piombare su di te. Presto potresti dimenticarlo, ma ti verrà ricordato il mese dopo quando succederà ancora a un’altra donna trans, in un’altra città o forse nella tua.
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Questo è il ritmo della nostra memoria, miseria e paura collettive, che si ripete ad ogni uccisione, veglia o Giorno di Commemorazione Trans*. Una pratica insurrezionale che attacchi le fondamenta del genere deve usare anche i ritmi della memoria e dell’emozione, ma verso la distruzione dell’ideologia di vittimismo e passività che le precedenti pratiche mantengono. Compagne insurrezionali di altre parti scrivono: “Il potere ha creato una macchina della dimenticanza, ogni volta più macabra e perfetta, per mantenere le condizioni in suo favore. L’amnesia genera un’accettazione della realtà imposta, limitandosi all’osservazione delle lotte passate o delle fotografie di compagne, tagliando ogni connessione con la realtà. Accettazione ottenuta mostrando quanto impossibile sia qualsiasi tentativo di disobbedire al padrone”. Il rifiuto dell’ideologia di vittimismo e passività si è manifestato con attacchi in solidarietà con compagne insurrezionali che sono decedute o che stanno affrontando la repressione. Questi attacchi sono un tentativo di sfruttare le riserve di odio viscerale per questo mondo e  la sua violenza nei confronti di chi condivide il desiderio di vedere una fine a tutto questo, collegando i ritmi di memoria collettiva, il desiderio di vendetta e il territorio di lotta in cui sono collocati.
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Potremmo essere capaci di rimuovere questa pratica di attacco da una situazione in cui le anarchiche sono solo autoreferenziali alla storia delle loro lotte e applicarlo anche alla nostra posizione tra i cicli di violenza e uccisione di genere e il lutto. In realtà, questo è già stato sperimentato dalle anarchiche negli stati uniti. Questo modello è stato sperimentato nella campagna “Vendica Duanna” di BashBack!, in cui anarchiche queer di diverse città hanno realizzato azioni in risposta all’uccisione di Duanna Johnson a memphis (tn) nel 2008. Questa campagna ha dato vita a una pratica che ha collegato emozioni viscerali di vendetta, memoria collettiva ed attacco e ha dato forza e promosso il rifiuto della vittimizzazione. Forse il suo fallimento è stato non dare continuità alla materializzazione di questa forza ad ogni morte, anche se negli ultimi mesi si sono prodotti nuovi attacchi di vendetta. Se stiamo creando un ritmo per contrattaccare, dobbiamo essere costanti nel rifiutare che la morte di una donna trans rimanga invisibile. Dobbiamo imporre il nostro ritmo incalzante, identificando i nodi del controllo e la violenza di genere nel nostro territorio di lotta, scatenando  la nostra vendetta su di loro, smantellando i ritmi della paura, della vittimizzazione e i gesti vuoti che continuano a caratterizzare le attuali risposte delle anarchiche, delle femministe e delle attiviste trans* alla violenza di genere. Collegando lo spazio della nostra vita di tutti i giorni ai cicli di lotta alla violenza di genere rendiamo concreta la nostra resistenza e lasciamo un segno materiale del nostro rifiuto del vittimismo. Se questa pratica vuole avere risonanza, dobbiamo creare costantemente questo ritmo e rifiutare di permettere a chiunque di ignorare il moltiplicarsi delle morti di persone trans* attorno a noi, attraverso il sabotaggio dei mezzi di comunicazione, scritte sui muri e altri metodi. Con diversi metodi di azione, abbiamo la possibilità di sperimentare il potenziale di diffondere tecniche di sabotaggio della produzione di genere. Lasciateci sperimentare con audacia a questo proposito. Solo allora la dolorosa canzone del genere potrà essere sostituita dal rumore del suo collasso.
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7 e 8 novembre, Bologna: rete nazioAnale TRANSFEMMINISTA QUEER

Posted on 2020/10/29 - 2024/04/11 by phrocissime
La pandemia globale da coronavirus e la crisi economica che ha generato hanno mostrato le vulnerabilità e l’interdipendenza dei corpi, dei territori, delle specie e delle popolazioni. E’ necessario costruire reti di mutualismo a favore delle comunità di chi ha subito maggiormente le conseguenze della crisi. La ricaduta delle misure di sicurezza e igiene pubblica, infatti, è stata fortemente asimmetrica e ha segnato ancora di più le gerarchie e le divisioni neoliberali di classe, di razza, di genere e di sessualità. Come lesbiche, frocie, bisex, persone trans, intersex, asessualx, madrx, femministe e transfemministe queer abbiamo sempre lottato mettendo al centro la riproduzione sociale e mai come in questo momento è emersa la sua rilevanza rispetto alla produzione. Tuttavia, nonostante la centralità della salute degli individui nel discorso pubblico, il diktat della produzione, dell’estrazione e del profitto si è imposto sulla cura, che ora come non mai si dimostra terreno di lotta politica.
Già nel contesto del percorso Marciona 2020 avevamo affrontato questi temi, dando priorità alla presa di parola queer nello spazio pubblico attraverso la critica alla forma “Pride” mainstream. Dopo l’inizio della pandemia, ci siamo riunit* in diverse assemblee trans-territoriali e ne abbiamo evidenziato le ricadute sulla materialità delle vite queer, punto di partenza imprescindibile per costruire le nostre pratiche.
Abbiamo agito secondo un principio di autoresponsabilizzazione collettiva per il contenimento del contagio e di autogestione critica del distanziamento fisico, scegliendo di porre al centro il mutualismo. Agire mutualismo e solidarietà queer, oltre che rispondere alla necessità materiale di scambiare risorse, cibo, denaro, ha una forte valenza politica: rendere visibili forme di relazioni “altre”, reti di affetto e sociali non familistiche e non di sangue.
Infine, siamo finalmente sces* in piazza numeros*, da Milano a Bologna, Torino, Rimini, Firenze, Bergamo, Messina, Roma, Genova, dando vita ad un Coordinamento Pride transfemminista queer, in una cornice comune (https://marciona.noblogs.org/post/2020/06/22/verso-un-pride-transfemminista-queer/).  Queste le nostre rivendicazioni: la lotta alla violenza di genere e dei generi e allo stigma che colpisce sex worker e persone sieropositive, per la depatologizzazione delle transizioni e delle vite trans e non binarie, in solidarietà con il movimento Black Lives Matter e con tutte le resistenze queer, femministe, antirazziste, anticolonialiste, antifasciste globali.
La discriminazione non è un fatto meramente culturale, produce disuguaglianza sociale e materiale, per questo chiediamo reddito di autodeterminazione e accesso a salute, casa, istruzione per ognun*: per transitare fuori dai vincoli famigliari, patriarcali e omosociali. A partire da questa lettura della violenza strutturale e eteropatriarcale abbiamo preso parola anche sulle proposte legislative a contrasto dell’omolesbobitransfobia. 
Abbiamo scelto di convocarci tutt* per due giorni come nuova rete transfemminista queer per confrontarci sul percorso compiuto fino ad ora e rilanciare la nostra iniziativa politica.
Questi due giorni saranno strutturati in modalità mista (online ed in presenza) a Bologna il 7 e 8 novembre 2020, presso il Circolo ARCI Guernelli, via Gandusio 6, Bologna.
Chiediamo a tutte le favole che leggono questa convocazione di compilare il sondaggio sulla partecipazione online e offline a questo indirizzo: https://forms.gle/bq67i6bUSz2cKnz8A . È necessario sapere i numeri della partecipazione e le esigenze per gestire al meglio i due giorni e impostare i canali online in modo da garantire l’accesso a tutt* coloro che non possono essere presenti.
PROGRAMMA IN MODALITÀ MISTA ONLINE E OFFLINE (in aggiornamento)
    
GIORNO 1 WORKSHOP E TAVOLI TEMATICI
I tavoli sono organizzati in modalità World Cafè e saranno accessibili online su Discord e in presenza: ogni tavolo è composto da sottogruppi, all’interno dei quali una persona volontaria terrà un resoconto e si occuperà della gestione della trasmissione online. Un’altra persona coordinerà la discussione proponendo alcune domande inerenti al tema del sottogruppo. Ogni partecipante può muoversi tra i sottogruppi per contribuire alla discussione. Alla conclusione, verranno messi a confronto i resoconti di ciascun sottogruppo per elaborare una sintesi da presentare in plenaria la domenica. Sia la discussione generale, sia i sottogruppi saranno forniti di canale Discord dedicato per seguire e partecipare a distanza. 
**** 10:30 Presentazione e benvenuto
    
**** 11-13
1. Tavolo SCUOLA
2. Tavolo MUTUALISMO
3. WORKSHOP Il colore del genere e dell’orientamento sessuale 
    >>Laboratorio su razzismo e privilegio bianco negli ambienti queer e nei movimenti politici. Come darci strumenti per prevenire e contrastare gli atteggiamenti razzisti nei nostri spazi? Lettura collettiva e discussione a partire da testi scritti da persone razzializzate che hanno riflettuto sull’argomento. SOLO IN PRESENZA
    
**** 13-14 PAUSA
**** 15-17
1. Tavolo SALUTE
      a. Salute mentale
      b. Salute trans e accesso agli ormoni
      c. Consenso e COVID (uso dei dispositivi sanitari)
      d. Accesso alla Salute riproduttiva e non riproduttiva (MTS, HIV, Aborto)
 
 2. WORKSHOP Riot porn by abrACABlab
Il workshop sarà diviso in due:
        – Quanti occhi ci guardano?: autodifesa urbana contro i dispositivi di sorveglianza (online o in presenza)
        – Autoproduzione di sex toys vegani con materiali di recupero (in presenza) oppure con tutto quello che abbiamo già a casa (online)
**** 17-19
1. Tavolo Metodo e comunicazione
      a. Strumenti di comunicazione interna 
      b. Strumenti comunicazione verso l’esterno e grafica
      c. Sicurezza informatica 
GIORNO 2 ASSEMBLEA PLENARIA
 ODG
  • MATTINA
    Restituzione e confronto sui workshop di sabato
    Condivisione di pratiche locali e nazioanali
  • POMERIGGIO
    Transfemministe queer in piazza: come prendiamo parola e agiamo nello spazio pubblico?
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CONTRO LA VIOLENZA )*( MOLTO PIÙ DI UNA LEGGE

Posted on 2020/07/14 - 2024/04/11 by phrocissime

È in corso oggi una mobilitazione nazionale contro l’approvazione della proposta di legge Zan-Scalfarotto. Secondo gli organizzatori di questa iniziativa il ddl non è considerato solamente inutile: l’omofobia e la transfobia, dicono, sono forme di discriminazione che sarebbero già punite dal “codice penale italiano”.  Gli organizzatori della contestazione di oggi parlano addirittura di deriva liberticida: la legge dicono, è in contrasto con la libertà di opinione.

Li conosciamo bene i cattoreazionari dietro queste piazze, sono quelli del movimento pro-life, della famiglia naturale, gli anti abortisti, quelli che la donna è madre e custode del focolare domestico, quelli che l’omosessualità va curata anche a suon di botte, quelli che la transessualità è perversione.

Gli alfieri e le ancelle dell’oppressione eteropatriarcale oggi scendono in piazza chiedendo che venga tutelata la loro libertà di opinione, ma sappiamo benissimo che stanno parlando della loro libertà di oppressione.

Conosciamo il mondo che vogliono proteggere, ce lo raccontano quotidianamente le ferite e le cicatrici che ci lascia addosso l’eteronormatività delle famiglie in cui nasciamo, delle scuole in cui cresciamo e dei lavori con i quali tiriamo a campare, quando abbiamo la fortuna di avere una famiglia una scuola e un lavoro.

Conosciamo sulla nostra pelle la violenza omolesbobitransfobica. E sappiamo benissimo che l’obiettivo della destra cattolica di declassare l’omofobia, la transfobia, la bifobia e la lesbofobia a problemi da non affrontare mai e da invisibilizzare, è funzionale al mantenimento del sistema di oppressione eteropatriarcale attorno al quale si tutela il privilegio del maschio bianco. Noi ci opponiamo con forza al modello violento della Famiglia tradizionale, quella ingessata nel binarismo di genere e nella sottomissione della femminilità relegata nel corpo della donna biologica.

Sì, la conosciamo la propaganda di quelli che oggi scendono in piazza contro il ddl Zan: Patria Famiglia Chiesa… lo ribadiamo, vogliono unicamente tutelare la loro libertà di oppressione.

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La propaganda cattolica fondamentalista è violenza omolesbobitransfobica e aggredisce le persone LGBTQIA+ – tutte le persone che non sono etero, tutte le persone che non sono cis – rendendosi mandante morale delle violenze che viviamo in quanto lesbiche, gay, frocie, persone trans, non binarie, donne; violenze all’ordine del giorno nelle case, nei luoghi di lavoro, nelle strade, nelle città, nei centri e nelle periferie, da Nord a Sud.

Per queste ragioni è senz’altro necessario per noi esprimere solidarietà per l’approvazione di questo ddl. Certamente.  Ma per noi è soprattutto indispensabile muovere forti critiche a questo approccio legalitario e dire e ribadire che questa legge non basta e quindi non ci aiuta a tutelarci e a protegggerci. Come bene hanno detto le nostre compagne bolognesi, “chiediamo molto di più del ddl Zan!”

Occorre per noi muoverci oltre il concetto di fobia e parlare di violenza cis-etero-patriarcale come problema sistemico che necessita di un contrasto altrettanto sistemico.

Le aggressioni fisiche compiute da singoli individui che questa legge punisce sono solo la punta dell’iceberg; l’omofobia è un problema strutturale alla nostra società ed è principalmente di stato, comincia nelle famiglie, cresce nelle scuole, e finisce nelle prigioni.

Noi non crediamo che inasprire le pene o riempire le galere sia la soluzione ai nostri problemi. Sappiamo che le galere, ancora una volta, le riempiranno con le persone meno privelegiate, mentre dai pulpiti delle chiese e dei media odio e altro odio continuerà a essere seminato legittimando le aggressioni quotidiane alle nostre vite.

Non offriamo campo fertile a chi semina odio.

Contrastare la violenza eteropatriarcale è una lotta di tutti i giorni, perché la violenza è quotidiana e strutturale.

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Ricordiamoci anche che oggi parliamo di questa legge per le pressioni della comunità europea e non per una battaglia che qualche politico e qualche partito vorrebbero intestarsi. Ricordiamoci anche che il testo in fase di approvazione è un testo azzoppato dal compromesso e dall’ipocrisia di stato, uno stato che presta ancora un orecchio complice alle religioni che hanno voluto e permesso che si morisse di aborto, di violenza domestica, di paura della sessualità. Uno stato che vuole punire l’odio ma continua a fomentare il razzismo imprigionando migranti nei CPR.

Rilanciamo quindi e rivendichiamo oggi una battaglia politica che superi l’approccio legalitario e combatta sul piano culturale la violenza etero patriarcale in tutti i settori della nostra società.

Cogliamo quest’occasione, in cui di nuovo i fomentatori d’odio occupano le piazze, per ricordare che la nostra lotta è appena cominciata. Vogliamo una scuola dove vengono abbattute le barriere di genere, classe, razza, orientamento sessuale.  Una scuola che educhi alle differenze di genere – sì, chiamatelo gender se volete: è insegnamento di consapevolezza e libertà, di rispetto di sé e degli altri. Vogliamo educazione sessuale e campagne di prevenzione e riduzione della violenza omolesbobitransfobica. Vogliamo accesso anonimo e gratuito a screening e terapie per tuttx. Vogliamo centri antiviolenza autonomi e gestiti dal basso, con personale formato, in cui per ricevere i finanziamenti e gli aiuti non ci sia l’obbligo di schedare le persone che vi si rivolgono. Vogliamo consultori liberi dalle ingerenze della chiesa e ospedali liberi dagli obiettori, vogliamo case-famiglia e centri di rifugio per chi nella famiglia trova solo violenza e oppressione. Vogliamo un reddito di autodeterminazione, universale, individuale, slegato dal lavoro, per emanciparsi dalle famiglie di origine e sottrarsi alla violenza domestica e anche come risarcimento per essere dellx bambinx e adolescenti queer in una società eteropatriarcale.

Fanno bene a temerci le piazze provita perché vuol dire che hanno capito che siamo qui per sgretolare dalle fondamenta il sistema di dominio oppressione e odio che chiamano libertà ma che è solo violenza e tutela del privilegio.

La rivoluzione o sarà TransFemministaQueer o non sarà.

)*(

La lotta è fica e cula.

////////////////////Ciao a tuttx!////////////////////

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FROCIE A PEDALI, ATTENTE AI BINARI /// le parole della non-biciclettata milanessa ∴ 27/06/2020

Posted on 2020/07/14 - 2024/04/11 by phrocissime

Care amiquex*+,

con enorme piacere e smodato godimento pubblichiamo le parole d’amore che vi abbiamo letto nelle cinque tappe della non-biciclettata, lo scorso 27 giugno a Milano — cliccate sul titolo per leggere il post:

∴ MARCE, NON MERCE /// il discorso con cui apriamo, senza vendere niente

∴ PRENDIAMOCI CURA DI LORO, PRENDIAMOCI CURA DI NOI /// riflessioni sopra e sotto la regione lombardia

∴ PER SARA E PATRICK /// comunicati sull’Egitto e oltre (in preparazione)

∴ RIFLESSIONI SUL PRIVILEGIO BIANCO /// dove capiamo che i tornelli non girano per tuttx nello stesso modo

∴ VIA LECCA /// il discorso con cui chiudiamo, per aprirci a nuove avventure

 

e ci mettiamo anche un’aggiuntina: testo e pdf del volantino di chiusura:

∴ IL TRIANGOLO ROSA /// omonormatività, quotidiano omocausto

 

buona lettura, e marcia sia!

)*(

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