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Categoria: ARCHIVIO

Appello da Queer Palestinesi: No al Pinkwashing dei crimini Israeliani!

Posted on 2021/05/20 - 2024/04/11 by phrocissime

Ripubblichiamo questa traduzione (a cura del Laboratorio Smaschieramenti) dell’appello delle persone queer palestinesi  contro il pinkwashing dei crimini israeliani.


Queer Palestinesi esortiamo lə Queer Globali a sostenerci!

Palestinian Queers Call on Global Queers to Stand With Us

 

Mentre le persone queer e LGBTQIA+ nel mondo celebrano la Giornata Internazionale contro l’Omofobia e la Transfobia (IDAHOT) e le parate Pride, noi queer palestinesi stiamo vivendo uno stato d’orrore. Le forze militari di polizia dell’Apartheid israeliano ci stanno attaccando con lacrimogeni e granate assordanti, stanno dando la caccia e arrestando le/i nostrə attivistə mentre marciamo protestando pacificamente. Contro che cosa protestiamo? Contro i massacri a Gaza ad opera di Israele; contro le sue atrocità, i suoi espropri e pulizia etnica a Gerusalemme; nella Valle del Giordano, a Galilee, Naqab (Negev) e nella West Bank; e contro il suo supporto agli attacchi razzisti dell’estrema destra alle Comunità Indigene Palestinesi ovunque, che siano queer o etero.

No al Pinkwashing dei crimini Israeliani!

Le testimonianze de* Palestinesi queer che vivono all’interno dell’attuale Israele raccontano con precisione con quanta brutalità le forze di polizia israeliane pesantemente militarizzate reprimono le manifestazioni in solidarietà a Sheikh Jarrah, un quartiere palestinese occupato a Gerusalemme Est, dove 4 famiglie sono costrette a lasciare le proprie case per lasciare spazio alla colonizzazione dei coloni Ebrei-Israeliani.

Ghadir al Shafie, co-fondatrice di Aswat, riporta così la testimonianza di suo figlio che ha partecipato a una manifestazione pacifica nella loro città natale Akka: “Alcuni giorni fa, mentre stavo tornando a casa da una manifestazione vicino a Yaffa, mio ​​figlio Jude, che ha 17 anni, mi ha chiamata. Gridava, potevo quasi sentire il suo cuore battere forte: “Mamma, la polizia ci insegue con lacrimogeni e granate assordanti; sono brutali. Si stanno avvicinando a noi”. Ero in uno stato di shock totale, spaventata per la vita di mio figlio.

Altre testimonianze di attivistə queer che hanno partecipato a marce pacifiche rivelano una brutalità e una repressione della polizia senza precedenti contro i palestinesi. “Ci stavamo organizzando per iniziare la manifestazione ad Haifa quando abbiamo sentito granate assordanti seguite da un’intensa ondata di lacrimogeni. Ricordo di aver guardato il cielo ed era tutto pieno di nuvole di fumo. Abbiamo iniziato a correre verso alleatə vicinə per poi venire attaccatə da folle armate ebreo-israeliane di estrema destra che cantavano “Morte agli arabi”. È stato orribile! “

Chiamata alla solidarietà!

Sorelle e fratelli, oggi lottiamo per i diritti queer come parte dei nostri diritti politici, sociali e umani. La nostra lotta per i diritti queer è anche intersezionalmente connessa alle lotte mondiali per i diritti delle persone Indigene, i diritti delle donne, le vite delle persone di colore, le vite delle persone nere e per i diritti climatici. Chiediamo ai gruppi e allu attivistə queer e LGBTQIA + di sostenere le/i palestinesi, boicottando, come minimo, gli eventi del pinkwashing israeliano, come il Tel Aviv Pride, il Tel Aviv Film Festival o qualsiasi attività simile.

Come nella lotta contro l’apartheid in Sudafrica, chiediamo la vostra solidarietà, e la forma più efficace di solidarietà con la nostra lotta di liberazione è rifiutarsi di nascondere, Pinkwash o normalizzare i nostri oppressori e le istituzioni e attività che sono parte integrante del loro sistema di occupazione, colonizzazione e apartheid.

Il coraggio che il mondo intero sta riconoscendo alle/ai palestinesi di tutta la Palestina storica, ispira una coraggiosa solidarietà in tutto il mondo. Le/i palestinesi, compresə le/i queer, hanno bisogno della tua significativa solidarietà per aiutarci a porre fine ai 73 anni di brutale oppressione di Israele.

 

Testo Originale: ASWAT Call for Solidarity

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Sciopero dai generi: per un 8M transfemminista queer

Posted on 2021/03/07 - 2024/04/11 by phrocissime

dalla Rete NazioAnale TFQ

Sciopero dai generi: per un 8M transfemminista queer

Da anni i movimenti transfemministi hanno portato alla luce la questione dello Sciopero dai generi. Questa formulazione ci sembra efficace poiché affronta diversi livelli di sfruttamento/esclusione/marginalizzazione.

Perché?

Perché vogliamo combattere contro l’imposizione binaristica dei generi, maschile e femminile, con tutti i ruoli annessi, asimmetrici e discriminatori. Vogliamo essere liber* di autodeterminare la nostra identità di genere, la nostra sessualità, i nostri corpi e desideri senza imposizioni, strutture o violenza medica e psichiatrica!

Con le nostre stesse esperienze di vita scardiniamo questo binario “M o F”, ci rifiutiamo di percorrerlo e contribuiamo alla liberazione di tuttu dalle imposizioni e dalle condizioni di minorità a cui tuttu siamo sottopost*, in modi diversi e intersezionali. La nostra lotta è contro l’eterocispatriarcato, è ribaltamento dalla norma cisgender che questo sistema continua ad imporre in una perpetua pratica di riproduzione del capitalismo e dello sfruttamento sulla linea del genere e della razzializzazione.

Dal punto di vista del lavoro riproduttivo e produttivo anche noi partecipiamo al fenomeno della femminilizzazione: sul lavoro (precario/sfruttato/malamente salariato) viviamo la sussunzione e strumentalizzazione capitalista dell’identità queer. Vediamo come sempre di più una serie di caratteristiche e stereotipi che ci riguardano vengano messe al lavoro. Le grandi multinazionali si vantano delle iniziative di inclusività e “diversity management”, utilizzando l’immagine dell’”apertura alle persone LGBTQIA+” per aumentare i propri guadagni, guadagni che poi non sono redistribuiti attraverso il reddito. Lanciano poi campagne di sensibilizzazione che spesso ci restituiscono immagini altrettanto stereotipate di noi stessu, cioè ci riducono all’immagine simbolo della “coppia gay unita civilmente” che lavora e alla “normalità”, decretando l’ennesima mistificazione ed esclusione delle persone trans, delle lesbiche e delle frocie. Tutto questo è aggravato dalla corsa ad ostacoli per ottenere i “pezzi di carta” indispensabili per accedere a lavoro e servizi: permessi di soggiorno, status di rifugiatu, una carta di identità con il nome e il “sesso” che scegliamo, una tessera sanitaria o un certificato di licenza media/elementare/diploma/laurea.

Svolgiamo inoltre lavoro riproduttivo gratuito quando siamo costrettu al sorriso, al trucco e parrucco, quando subiamo molestie o micro-violenze, quando finiamo per diventare le/i/* confidenti delle/dei colleghi eterocis che ci considerano figure “neutre” nei luoghi di lavoro, quando siamo fortunat*! Quando il lavoro di cura ce lo facciamo pagare come sexworker, veniamo criminalizzat* e stigmatizzat*, noi diciamo basta: #strikefordecrim! – il lavoro sessuale è lavoro, scioperare per decriminalizzare!

Come soggettività femminilizzate siamo impegnat* a decostruire gli stereotipi che riguardano la “cura”. Questo livello è fondamentale proprio oggi, durante l’emergenza pandemica. Perciò lo sciopero dai generi significa anche scioperare, da un lato, dalla visione proposta dalle istituzioni di gestione della cura nel contesto pandemico come verticale, paternalistica e, dall’altro lato, dalla “cura” naturalizzata come “caratteristica femminile”, quindi ancora in modo stereotipato, come accudimento remissivo, per affermare che cura è anche conflitto! Riteniamo fondamentale quindi dare valore alle nostre analisi e pratiche di prevenzione e autogestione della salute che recuperiamo dalle consultorie e dall’attivismo impegnato nella lotta all’HIV/AIDS.

La nostra lotta contro il binarismo del genere riguarda anche l’idea di scuola. Non riconoscere la dimensione della riproduzione sociale tra le funzioni della scuola, concentrandosi sulle funzioni di “servizio”, non permette di comprendere come l’alternativa alla scuola resti esclusivamente la famiglia, una delle istituzioni che da sempre riconosciamo come sede della violenza di e del genere. La visione della scuola come mero welfare è pericolosa perché finisce per considerare la scuola come erogatrice di un “servizio” e le “famiglie” e studenti come “utenti”. Una visione del genere è molto vicina a quella dei comitati NOGENDER, che ritengono sia diritto dei genitori influire sull’offerta didattica, in particolare per ostacolare e sabotare qualsiasi progetto di educazione alla sessualità, affettività, e genere. Allo stesso tempo la visione della scuola come didattica pura dimentica la dimensione del lavoro riproduttivo o di cura (lavoro affettivo, relazionale) pagato che in essa si svolge, come se questo avesse meno dignità del lavoro didattico-educativo. È questa visione che porta ad illudersi che anche la DAD sia scuola, mentre non è altro che una nuova incarnazione delle multinazionali, che trasformano l’educazione in mera informazione. Il nostro sciopero dai generi coinvolge la dimensione scolastica perché vogliamo negare la riproduzione sociale istituzionale dell’etoronorma sulla base del genere, della classe, dell’abilità, della razzializzazione.

Abbiamo bisogno e desiderio di socialità frocia, a fronte del confinamento in case troppo spesso luoghi di violenza misogina e omolesbobitransfobica. Lo sciopero dai generi è quotidiano e per organizzarci vogliamo spazi: consultorie, case rifugio, centri culturali, luoghi dove dare vita a forme di mutualismo, parentele altre e una socialità lontana dalle logiche di mercato e dalle forme di controllo. Invece i nostri spazi continuano a chiudere, a causa della crisi e ancora di più a causa della repressione, spacciate per austerità e senso del decoro, che molt* compagn* stanno pagando a caro prezzo. Per questo invitiamo a partecipare ai crowdfunding organizzati per sostenere le spese legali degli spazi transfemministi e femministi, luoghi essenziali per il contrasto alla violenza sistemica.

Lo sciopero è essenziale mentre il genere come dispositivo di controllo sociale, economico, politico e culturale… NO! Ci uniamo all’8 Marzo transfrontaliero con la forza della dissidenza sessuale, perché la rivoluzione sarà transfemminista o non sarà!

(mail: contactfq@inventati.org)

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Transfemministe queer verso l’8 marzo

Posted on 2021/03/01 - 2024/04/11 by phrocissime

Come prendiamo parola noi soggettività LGBTQIA+ nel contesto dello sciopero dell’8 marzo? Cos’è lo sciopero dai generi nel contesto della pandemia attuale e della necessità di un ripensamento della salute e della cura? Quali discorsi e quali pratiche stiamo attuando nei contesti delle realtà locali di cui facciamo parte? Mettiamoli in comune e confrontiamoci sullo sciopero come pratica transfemminista.

Ci incontriamo
MERCOLEDÌ 3 MARZO alle 19:00
online sul canale jitsi https://vc.autistici.org/ReteNazioAnaleTFQ

L’incontro sarà un’occasione di confronto sull’8marzo ma anche di discussione sullo stato della rete transfemminista queer e dei tavoli di lavoro avviati nel contesto dell’assemblea del 7 novembre scorso.

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Report tavolo SCUOLA – Rete NazioAnale TFQ

Posted on 2021/01/16 - 2024/04/11 by phrocissime
Il 7 e 8 novembre la rete nazioanale tfq, nata nel contesto di Marciona2020 durante la prima fase pandemica, ha deciso di convocarsi come rete dopo l’esperienza del Coordinamento Pride tfq della scorsa estate, che ha costituito l’avvio di un percorso politico collettivo transterritoriale nazioanale attraversato da singol*, realtà organizzate, collettivi e altre reti territoriali. 
Durante l’assemblea si sono tenuti diversi tavoli di discussione e tra questi un focus sulla questione Scuola, ora più che mai al centro del dibattito pubblico. Abbiamo scelto di condividere le riflessioni emerse considerata l’urgenza dell’argomento e della presa di parola transfemminista queer.
TAVOLO SCUOLA 
Il tavolo scuola ha decostruito le retoriche sull’istruzione come campo “neutro” o come “servizio” identificando la sua funzione di riproduzione sociale istituzionalizzata. Abbiamo riflettuto su cosa significhi questo proprio ora nel contesto pandemico e in regime di didattica a distanza, sia dal punto di vista della “cura” che dal punto di vista delle tecnologie. Questo ci ha permesso di smascherare le iniziative “dall’alto” su genere e parità e allo stesso tempo affinare le nostre strategie per contrastare binarismo di genere, razzismo classismo nell’educazione. Sono emerse proposte operative che ci porteranno a continuare questa discussione in modo più allargato.         
                               
a) Scuola e lavoro riproduttivo: l’educazione è (anche) lavoro riproduttivo? Welfare? Lavoro di cura? Lavoro e basta? Quale è il rapporto/conflitto tra le lotte per il diritto all’istruzione e le lotte delle soggettività femminilizzate messe al lavoro dal sistema educativo? 
 
In tempo di pandemia si sono polarizzate due distinte visioni del sistema educativo: la scuola come welfare/lavoro riproduttivo o la scuola come “didattica pura”. In particolare questa dicotomia si è evidenziata nel dibattito sull’apertura o chiusura in tempo di pandemia, in modi alquanto diversi a seconda della visione complessiva dell’educazione oppure la stessa visione ha portato a posizioni contrapposte.                                         
Un primo esempio è rappresentato dalla contrapposizione tra il diritto alla salute degli insegnanti e l’idea che la scuola sia una priorità, quando genitori e insegnanti sembravano sostenere uno o l’altro, mettendo in discussione il diritto di sciopero delle lavoratrici e dei lavoratori a settembre, quando le richieste di un’apertura in sicurezza e con investimenti di denaro e spazi erano state disattese. Per noi la relazione tra welfare e lavoro riproduttivo è inscindibile, e crediamo che la decostruzione di questa dicotomia sia necessaria per riconoscere e connettere le lotte sindacali all’interno dell’educazione. Un secondo esempio, più “interno” ai femminismi e transfemminismi riguarda la funzione del sistema educativo, dove alcune considerano la scuola come una forma di erogazione di welfare o come un “servizio” mentre altre vedono l’importanza della scuola nella sua funzione pedagogica, educativa e di costruzione di conoscenze. Questo porta a non comprendere l’esigenza, espressa da tantu di noi, di tenere aperte le scuole fin quando possibile, in questo periodo pandemico, poiché si scambia la rivendicazione per un diritto universale all’istruzione, il valore della relazione nel sistema educativo (non solo relazione con chi insegna ma, soprattutto relazione tra pari e costruzione di socialità sempre più complesse a seconda dei gradi di istruzione) con mera complicità con Confindustria e con l’esigenza di mantenere alti livelli di produzione a discapito della salute pubblica. Riteniamo che queste dicotomie siano solo astratte e non tengono conto della materialità dell’educazione come istituzione, da un lato, e processo di formazione di socialità al contempo: si tratta di vera e propria riproduzione sociale istituzionalizzata e organizzata. Non riconoscere la dimensione della riproduzione sociale tra le funzioni della scuola, concentrandosi sulle funzioni di “servizio”, non permette di comprendere come l’alternativa alla scuola resti esclusivamente la famiglia, u
na delle istituzioni che da sempre riconosciamo come sede della violenza di e del genere. La visione della scuola come mero welfare è pericolosa perché finisce per considerare la scuola come erogatrice di un “servizio” e le “famiglie” e studenti come “utenti”, e questo si avvicina molto alla visione dei comitati NOGENDER che ritengono sia diritto dei genitori influire sull’offerta didattica, in particolare per ostacolare e sabotare qualsiasi progetto di educazione alla sessualità, affettività, e genere. Allo stesso tempo la visione della scuola come “didattica pura” dimentica la dimensione del lavoro “riproduttivo” o “di cura (lavoro affettivo, relazionale) pagato” che in essa si svolge, come se questo avesse meno dignità del lavoro didattico-educativo. La volontà di alcuni femminismi di cancellare la dimensione riproduttiva dal “lavoro” dell’educazione sembra provenire dall’interiorizzazione di un certo emancipazionismo oppure da una certa misoginia che valorizza la dimensione produttiva del sapere a discapito di quella della “cura”. Sono anni che mettiamo al centro la riproduzione sociale nelle nostre lotte ed in qualche modo la scuola ci sembra luogo privilegiato d’osservazione e intervento perché è il fulcro della riproduzione sociale istituzionalizzata, ed infatti è qui che si giocano le maggiori battaglie su un dispositivo di potere per noi al centro dell’analisi e delle lotte: il genere, all’intersezione con classe/razza/abilità. 
                                        
Viviamo da decenni lo smantellamento della scuola pubblica, con pochi investimenti e precariato diffuso. Ora più che mai, con la chiusura e il passaggio alla DAD si evidenzia come l’esclusione avvenga all’intersezione tra status economico e fenomeni di razzializzazione delle e degli studenti. 
                                        
La battaglia sulla redistribuzione non riguarda solo il denaro ma anche le risorse tecnologiche – da anni facciamo battaglia su internet pubblico accessibile, ad esempio. La DAD richiede accesso universale alla tecnologia, ma quale tecnologia? Le grandi piattaforme come Google già offrono a scuole, insegnanti e student* infrastrutture, spazio e tecnologie gratuitamente e siamo a un passo dalla distribuzione gratuita di tablet da parte di Google o altre multinazionali allu studentu di tutte le scuole, ma ci dovremmo chiedere verso quale scenario si sta muovendo la scuola tentando di rimediare al digital divide appoggiandosi a grandi multinazionali: dovremmo tenere conto del fatto che esistono tecnologie libere e open source. Come avviene la distribuzione? Sta iniziando una strana selezione meritocratica in alcune realtà, chi sa utilizzare i device li riceve e chi mostra di non saperli usare adeguatamente invece resta escluso, questo è un altro lato dell’ingiustizia e arbitrarietà diffusa in questo momento pandemico. 
                                        
Allo stesso tempo dobbiamo tenere conto del diffuso analfabetismo digitale e lo stato emergenziale in cui versa la scuola in questo momento. La questione allora diventa, più che il contrasto in toto alle piattaforme proprietarie, come usare in maniera creativa questi strumenti che ci vengono dati, per ridurre il danno e per aprire spazi digitali relazionali in particolare per quell* studenti con certificazioni, bollini, etichette, fragilità socio economiche? Ad esempio: fare pressioni sulle case editrici per avere i libri online. Se riuscissimo a mappare i nostri bisogni riusciremmo a fare autoformazioni per aiutarci a limitare i danni. Sulla tecnologia resta un problema, se ne parla sempre da un punto di vista meramente tecnico, mentre andrebbe affrontata anche dal punto vista umanistico per imparare ad agire la tecnologia e non essere “agiti” da questa, o alienat* attraverso di essa. 
                                        
b) Scuola e lavoro “del genere”: come il gender entra nelle scuole ma nel modo sbagliato? Come riappropriarci del diritto di parola su questo nel sistema attuale (linee guida parità di genere/educazione civica/legge Zan ecc…) 
                                                                                                   
Viviamo da anni le conseguenze di una postura politica precisa dall’alto rispetto alla possibilità di occuparsi di questioni di genere nelle scuole: l’ambiguità delle direttive/linee guida/leggi che non permettono di capire cosa si può o non si può fare e isolano le persone che tentano di lavorare in questo senso. 
                                        
Lo abbiamo visto accadere con le “Linee Guida Educare al rispetto: per la parità tre sessi, la prevenzione della violenza di genere di tutte le forme di discriminazione” del 2015, dove si afferma che “tra i diritti e doveri e tra le conoscenze da trasmettere non rientrano in nessun modo le ideologie Gender”, senza specificare a cosa esattamente si riferisca il testo. Lo vediamo accadere oggi con la modifica al comma 3 dell’art.6 della Legge Zan, che, se da una parte istituisce una giornata nazionale contro le discriminazioni, dall’altro rimanda all’approvazione delle singole scuole, previa firma del “patto di corresponsabilità” da parte dei genitori, ogni tipo di intervento, anche solo rituale o celebrativo in questo senso. E se all’articolo 8 si rimanda all’UNAR per l’ elaborazione di strategie triennali per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere, noi non dimentichiamo la Strategia Nazionale LGBT del 2013 (http://www.unar.it/wp-content/uploads/2017/12/LGBT-strategia-unar-17_24.pdf ) mai applicata, o le raccomandazioni europee (http://www.comune.torino.it/politichedigenere/bm~doc/raccomandazionecmrec20105.pdf. Quindi se da un lato accogliamo il tentativo, dall’altro continuiamo a chiedere più del ddl Zan e soprattutto delle linee definitive che non lascino spazio ai no gender e che non continuino a lasciarci con le spalle completamente scoperte, ricattabili e obbligati, dove riusciamo, a un’iper-esposizione. 
                                        
Genere (e castrazione del genere) “si fa” dalle scuole dell’infanzia fino alla fine del ciclo scolastico, in modo informale e normativo passando per l’etero-sessismo implicito a tutto il sistema educativo e alla società. Il genere “si fa” a scuola costantemente nelle discipline, nella direzione dell’eteronorma, in particolare nelle discipline scientifiche e tecniche, perché spesso anche insegnando la materia si riproduce l’eteronorma. Talvolta questo è più insidioso dell’annoso problema degli insegnanti di religione cattolica, i quali affrontano in maniera esplicita le questioni di cui non dovrebbero occuparsi. Il ddl Zan formalizza che le progettualità di contrasto a questa costruzione normativa del genere devono continuare a superare una serie di passaggi burocratici. 
                                        
Ovviamente anche noi facciamo e disfiamo il genere a scuola, abbiamo delle strategie e vorremmo implementarne altre. Da un lato approfittiamo di ogni “interstizio” che si dà nella programmazione ufficiale. I progetti su bullismo permettono di parlare di sessismo, omolesbobitransfobia. Focus su cyberbullismo è un altro modo di fare hacking per parlare di genere nelle tecnologie, per parlare della violenza e discriminazione nelle tecnologie, salvo che la maggioranza delle scuole preferisce una lezione della polizia postale a interlocutori “scomodi”. Anche una generica titolazione “educazione alle differenze”, a seconda del contesto, può legittimare il discorso sul genere. 
                           
Ma dovremmo essere in grado di attraversare altri “momenti” della programmazione come l’educazione alla salute, dove a parlare di HIV e salute riproduttiva ci sono le ASL, e il grande progetto dell’Educazione Civica. Per quest’ultima materia, nuova di 33 ore annue sono state indicate delle Linee Guida di stampo nazionalista, e serve l’impegno del singolo ad accollarsi quella che si chiama “funzione strumentale” per poterci mettere mano. C’è chi lo ha fatto, cercando di minimizzare le ore obbligatorie sulla “storia della bandiera d’Italia” e puntando sull’Agenda 2030 dell’ONU sulla sostenibilità, che permette di intervenire criticamente su “accesso all’istruzione”, “uguaglianza di genere”, “riduzione delle disuguaglianze tra paesi del mondo”, “ambiente”, ecc… Va d’altro canto presa in considerazione la crescente richiesta da parte delle/degli studenti di affrontare questi temi anche se questo riguarda solo pochi settori/indirizzi dell’istruzione secondaria, come i licei in aree urbane. 
                                        
Esistono pratiche condivise di/per studenti transgenere e sarebbe il caso di avviare una mappatura, in grado di connettere queste esperienze o utile alla condivisione di materiali e strategie.
Ci sono scuole invece, come istituti professionali “maschili” dove essere una persona LGBTQIA+ è addirittura pericoloso per l’incolumità psico-fisica. Un’altra strategia è quella di invitare dei visiting-teacher LGBTQIA+ a fare lezioni incentrate sulle competenze e non sul gender(!). Così come resta fondamentale ragionare sull’implied learner quando si fanno i programmi per le materie, perché abbiamo interiorizzato che chi impara è neutro, cioè maschio bianco eterocis. Pertanto bisogna individuare e contrastare atteggiamenti eterosessisti espliciti ed impliciti nell’insegnamento delle discipline (rimuovere “l’implied learner”: maschio, bianco, etero, cis…)
                                        
Ma abbiamo bisogno di qualcosa di più delle strategie che singolarmente possiamo mettere in campo e che presuppongono coraggio e contesti non troppo escludenti e reazionari. Abbiamo già tentato di mettere in condivisione materiali ma la modalità “drive” si è mostrata poco funzionale perché diventa un’accumulazione di materiali poco ordinata e quindi poco fruibile. Ciò non toglie che vada trovata una modalità più efficace. Inoltre i “materiali” che vengono accettati nelle scuole devono avere legittimità accademica, non possono essere autoprodotti nel momento in cui usciamo dalla lezione alla singola classe ma cerchiamo di implementare cambiamenti più strutturali attraverso progetti, funzioni strumentali, ecc. Inoltre chi si relaziona alle scuole con “progetti” dall’esterno segnala gravi difficoltà ad interfacciarsi come realtà e collettivi informali. Per questo riteniamo necessario trovare forme di output dell’attivismo, forme “istituenti” che siano capaci di impattare a livello istituzionale, canali per cambiare le istituzioni. Avere un soggetto informato capace di relazionarsi in maniera dialettica e conflittuale con la scuola potrebbe essere tatticamente importante. Vorremmo quindi organizzare incontri per capire come dare una forma sia legale, quali sono le priorità e gli obiettivi, come avviene la formalizzazione burocratica. 
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Memoria collettiva e lotta trans

Posted on 2020/11/20 - 2024/04/11 by phrocissime
Oggi è il Giorno di Commemorazione Trans.
Sentiamo l’esigenza di prendere parola per ricordare: ricordare chi è oppress dal patriarcato cis-sessista e soffre la violenza transfobica e transmisogina che nella vita quotidiana è tutt’altro che invisibile. La transfobia non è “paura” nei confronti delle persone trans*, ma è odio e rifiuto verso l’autodeterminazione delle persone trans*. Questo tipo di violenze raggiunge l’apice negli omicidi transfobici e nello specifico nei transfemminicidi, perciò oggi ricordiamo le sorelle e i fratelli uccisi. Crediamo che sia importante portare avanti la memoria di queste persone che facevano parte della nostra comunità, perché ci ricordano che c’è sempre molto per cui lottare. Ci ricordano che innanzitutto dobbiamo lottare per le nostre vite, per rimanere in vita. La memoria e la lotta sono collegate e non si portano avanti solo una volta l’anno.
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Ci teniamo a ribadire che la violenza transfobica non si manifesta soltanto quando un caso di cronaca fa scalpore, ci commuove, ci fa male, ma è violenza strutturale e parte integrante del sistema di oppressione patriarcale. Questa violenza si manifesta ogni volta che i nostri documenti non riportano i nomi che abbiamo scelto, ogni volta che ci è reso quasi impossibile adeguare i nostri documenti, ogni volta che le autorità utilizzano quei documenti per sovradeterminare chi siamo. Le autorità, che siano rappresentate dallo sbirro di turno o da un funzionario amministrativo, non devono imporci categorie di genere fisse; come non devono limitare la nostra libertà di movimento sulla base della nazionalità scritta sui nostri documenti. Lo Stato si arroga il diritto di controllare le nostre vite; agisce in prima persona e legittima quella violenza transfobica e razzista che è intrinseca negli usi dei documenti da parte delle autorità.
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Infine, crediamo che la commemorazione non debba passare dalla spettacolarizzazione degli omicidi transfobici, ma è attraverso la lotta che il ricordo delle persone trans* uccise diventa forza collettiva. La memoria per noi non può essere fine a sé stessa, ma diventa rabbia e di conseguenza attacco al sistema che agisce queste violenze. Non ci può bastare un necrologio ogni tanto, ci rifiutiamo di rimanere nel ruolo di vittime. 
In quest’ottica abbiamo pensato di consigliare la lettura di due articoli che riflettono sul vittimismo che spesso circonda il Giorno di Commemorazione Trans, riconoscendo l’importanza del tenere viva la memoria e proponendo alternative. Entrambi gli articoli li trovate nell’opuscolo “Spazi Pericolosi. Resistenza violenza, autodifesa e lotta insurrezionale contro il genere”. Il primo, “Una pratica insurrezionale contro il genere: riflessioni sulla risonanza, memoria ed attacco”  lo trovate qui sotto e il secondo “Dalle Candele alle Fiaccole: Vandalismo in Alternativa al Giorno di Commemorazione Trans* e gli Attacchi Trans che verranno” lo potete leggere qui.
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marcione allergiche al binarismo di genere

Una pratica insurrezionale contro il genere: riflessioni sulla risonanza, memoria ed attacco
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Vorrei poter dirti che sono diventat insensibile al dolore dopo tutti questi anni, ma la notizia dell’uccisione di un’altra donna trans mi perfora gli intestini, ogni volta che arriva. Più che scoprire i dettagli dell’uccisione di Deoni Jones, sono qui a respirare con difficoltà e a cercare le parole o le azioni per esprimere il mio odio totale verso la società che produce i ritmi del lutto e della violenza che protegge il genere. Quei ritmi sono gli unici ascoltabili per quelle persone come noi, quelle che cercano una strada fuori dall’orribile canzone del genere. C’è qualcosa dentro me che quasi desidera diventare indifferente a questo ritmo. Ma so che non sarebbe abbastanza per mitigare il riverbero del genere nel mio corpo e nella mia vita quotidiana, suono che ho incessantemente provato a silenziare con ormoni, alcool, droghe e scrivendo saggi stupidi. Ho paura che questo sia uno di quei tentativi inutili.
Molte di noi hanno provato in questo e altri modi a gestire il dolore del genere per conto proprio; ma non c’è niente che possiamo fare per rendere più leggeri i nostri cuori appesantiti, a parte interrompere collettivamente questo ritmo e smantellare il genere nella sua totalità. Avendo questo in testa, elaborerò una proposta per quelle persone stanche della violenza e morte di genere, per la creazione di un nuovo ritmo di vendetta contro l’ordine del genere. 
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Ci sono alcune pratiche che sono state messe in atto da persone che si autodefiniscono “trans radicali” o “anarcofemministe” (che fanno parte di certe sottoculture di attiviste)  in risposta alla questione di genere . Queste pratiche includono laboratori sul consenso, opuscoli sulla transessualità e segnalazioni dei comportamenti “di merda” interni alla loro sottocultura, oltreché feste ed orgie. Non c’è niente di inerentemente “sbagliato” in queste cose, ma se prendiamo sul serio l’idea che dobbiamo distruggere il genere e tutte le relazioni sociali di questa società è chiaro che qualcosa manca in una pratica che affronta il genere solo a livello di uso linguistico e di dinamiche sottoculturali. Se abbandoniamo il modello di attivismo di sinistra e accettiamo il fatto che “i movimenti rivoluzionari non si diffondono per contaminazione, bensì per risonanza”; capiamo che, come minimo, ci siano alcuni problemi col pensiero che questi metodi isolati possano costruire da soli una forza per distruggere il genere. Queste pratiche non sono all’altezza di affrontare direttamente le manifestazioni della violenza di genere e di creare pratiche che risuonino nell’inconcepibile dolore che portiamo nel profondo dei nostri corpi. Dobbiamo costruire un ritmo di lotta che risuoni nei nostri corpi e che costruisca relazioni tra attacco, memoria e il terrore di genere che sperimentiamo nel quotidiano.
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È abbastanza facile iniziare una discussione sulla strategia insurrezionale con la nozione di attacco. Tuttavia molte confondono questo processo con il semplice danneggiare una banca a caso o scrivere un comunicato che dice agli sbirri di farsi fottere. Ovvio, non sono interessat a condannare tali pratiche, sono semplicemente più interessat ad esaminare i modi in cui varie nozioni e metodi di attacco sono posizionati in relazione alla nostra memoria e tutte le emozioni che si sono sviluppate come conseguenza alla violenza di genere che abbiamo sopportato. Se da un lato è abbastanza facile deridere le veglie a lume di candela o il Giorno di Commemorazione Trans*, dall’altro questi momenti servono a creare una continuità e un ritmo di memoria in relazione alla violenza transfobica di cui molte prospettive radicali mancano. Quando sentiamo il nome Deoni Jones oggi e vediamo gruppi di persone rannicchiate sulle candele, non possiamo evitar di pensare a Dee Dee Pearson, Shelley Hilliard, Lashai Mclean, Sandy Woulard, Chanel Larkin, Duanna Johnson, Gwen Araujo e Marsha P. Johnson. Non possiamo evitare che le nostre menti si riempiano delle storie di quelle persone uccise per mano di una società che deve mantere l’ordine di genere a tutti i costi. È così facile perdersi nel dolore che si accompagna a tutto questo, guardarsi le spalle mentre torni a casa tutte le notti sperando che quel rumore che hai appena sentito non sia una persona pronta a piombare su di te. Presto potresti dimenticarlo, ma ti verrà ricordato il mese dopo quando succederà ancora a un’altra donna trans, in un’altra città o forse nella tua.
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Questo è il ritmo della nostra memoria, miseria e paura collettive, che si ripete ad ogni uccisione, veglia o Giorno di Commemorazione Trans*. Una pratica insurrezionale che attacchi le fondamenta del genere deve usare anche i ritmi della memoria e dell’emozione, ma verso la distruzione dell’ideologia di vittimismo e passività che le precedenti pratiche mantengono. Compagne insurrezionali di altre parti scrivono: “Il potere ha creato una macchina della dimenticanza, ogni volta più macabra e perfetta, per mantenere le condizioni in suo favore. L’amnesia genera un’accettazione della realtà imposta, limitandosi all’osservazione delle lotte passate o delle fotografie di compagne, tagliando ogni connessione con la realtà. Accettazione ottenuta mostrando quanto impossibile sia qualsiasi tentativo di disobbedire al padrone”. Il rifiuto dell’ideologia di vittimismo e passività si è manifestato con attacchi in solidarietà con compagne insurrezionali che sono decedute o che stanno affrontando la repressione. Questi attacchi sono un tentativo di sfruttare le riserve di odio viscerale per questo mondo e  la sua violenza nei confronti di chi condivide il desiderio di vedere una fine a tutto questo, collegando i ritmi di memoria collettiva, il desiderio di vendetta e il territorio di lotta in cui sono collocati.
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Potremmo essere capaci di rimuovere questa pratica di attacco da una situazione in cui le anarchiche sono solo autoreferenziali alla storia delle loro lotte e applicarlo anche alla nostra posizione tra i cicli di violenza e uccisione di genere e il lutto. In realtà, questo è già stato sperimentato dalle anarchiche negli stati uniti. Questo modello è stato sperimentato nella campagna “Vendica Duanna” di BashBack!, in cui anarchiche queer di diverse città hanno realizzato azioni in risposta all’uccisione di Duanna Johnson a memphis (tn) nel 2008. Questa campagna ha dato vita a una pratica che ha collegato emozioni viscerali di vendetta, memoria collettiva ed attacco e ha dato forza e promosso il rifiuto della vittimizzazione. Forse il suo fallimento è stato non dare continuità alla materializzazione di questa forza ad ogni morte, anche se negli ultimi mesi si sono prodotti nuovi attacchi di vendetta. Se stiamo creando un ritmo per contrattaccare, dobbiamo essere costanti nel rifiutare che la morte di una donna trans rimanga invisibile. Dobbiamo imporre il nostro ritmo incalzante, identificando i nodi del controllo e la violenza di genere nel nostro territorio di lotta, scatenando  la nostra vendetta su di loro, smantellando i ritmi della paura, della vittimizzazione e i gesti vuoti che continuano a caratterizzare le attuali risposte delle anarchiche, delle femministe e delle attiviste trans* alla violenza di genere. Collegando lo spazio della nostra vita di tutti i giorni ai cicli di lotta alla violenza di genere rendiamo concreta la nostra resistenza e lasciamo un segno materiale del nostro rifiuto del vittimismo. Se questa pratica vuole avere risonanza, dobbiamo creare costantemente questo ritmo e rifiutare di permettere a chiunque di ignorare il moltiplicarsi delle morti di persone trans* attorno a noi, attraverso il sabotaggio dei mezzi di comunicazione, scritte sui muri e altri metodi. Con diversi metodi di azione, abbiamo la possibilità di sperimentare il potenziale di diffondere tecniche di sabotaggio della produzione di genere. Lasciateci sperimentare con audacia a questo proposito. Solo allora la dolorosa canzone del genere potrà essere sostituita dal rumore del suo collasso.
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