Il 25 giugno 2021 scesə in piazza a Milano per la Marciona, una manifestazione queer trans femminista di soggettività e collettività che resistono alla mercificazione delle persone LGBTQIA+ e alle discriminazioni e violenze omolesbobitransfobiche, razziste, sessiste e classiste. In questi giorni pubblichiamo sulla blogga i testi degli interventi letti nei vari presidi in cui ci siamo fermatə.
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Lo stato agisce violenza riproducendo quello stesso sistema ciseteropatriarcale, razzista e classista che ci opprime nelle prigioni, nei cpr, in frontiera e per le strade.
Privare della libertà è una violenza che lo stato agisce nel momento in cui limita l’autonomia e l’agibilità imponendo leggi funzionali al mantenimento della sua autorità. Il carcere non è rieducazione né riparazione ma è un mero meccanismo di punizione e minaccia per chi devia da quella norma autoritaria che oggi non siamo più dispost a subire.
Non vogliamo che esistano frontiere, vogliamo poter manifestare il dissenso e la solidarietà come ci pare, vogliamo autorganizzarci, vogliamo occupare le case, vogliamo lottare contro la devastazione ambientale e la mercificazione, contro lo sfruttamento dei corpi animali, umani e non. Poco ci importa che queste azioni siano considerate una minaccia per lo stato e la sua presunta autorità indiscussa.
Il sistema legislativo e carcerario ha la pretesa di proteggere quello che chiama “bene comune”. Eppure sappiamo perfettamente che ciò che viene tutelato sono soltanto gli interessi economici e politici di una struttura autoritaria, razzista, sessista, omolesbobitransfobica e oppressiva. Struttura che si manifesta con la repressione dentro e fuori le prigioni.
Siamo contro ogni norma imposta che ogni giorno limita l’autodeterminazione dei corpi, delle sessualità, della libertà di muoversi e di esprimersi.
Siamo noi, dissidenti dal genere e dalla sessualità a lottare in prima persona per le nostre vite e la nostra libertà. Ci autorganizziamo e ci autodifendiamo. Per questo non ci interessa delegare la nostra protezione alle istituzioni e agli sbirri, che sono gli stessi attori della violenza che ci opprime quotidianamente in quanto soggettività non conformi alla loro norma. Ci vogliono vittime ma noi resistiamo e lottiamo ogni giorno contro chi controlla e invisibilizza i nostri corpi e le nostre individualità.
Le norme che ci troviamo imposte attuano categorizzazioni che dividono tra quali persone sono accettabili e quali no, tra quali corpi possono attraversare gli spazi in libertà e a quali corpi questa possibilità viene negata. Questo meccanismo è evidente nei cpr, luoghi di detenzione dove la repressione raggiunge livelli estremi, con la giustificazione della protezione dello stato-nazione, delle frontiere e di tutta una serie di invenzioni che ci vengono propinate come se fossero verità assolute. Tutte merdate che non possiamo accettare e non sono altro che vere e proprie manifestazioni di violenza.
A Milano, nel cpr di via Corelli, dalla sua apertura a settembre, le ribellioni sono state diverse, tutte represse anche attraverso l’utilizzo di sostanze per sedare chi non è dispostx a subire la detenzione, soprattutto in condizioni inaccettabili. Alle persone detenute semplicemente per l’assenza di un pezzo di carta che chiamano documento, sono negati tutti i contatti con l’esterno. La situazione igienico-sanitaria è degradante. Non siamo qui a chiedere condizioni migliori: i cpr devono essere chiusi, punto.
Sempre complici e solidali con chi lotta dentro e fuori dal carcere e da tutti gli altri centri di reclusione, ricordando chi, tutti i giorni, rivoltandosi contro l’oppressione viene schiacciatx da essa. Non ci dimentichiamo della gestione assassina che ha portato lx detenutx a ribellarsi la scorsa primavera all’apice della pandemia. La rivolta non finisce qui, finché tutte le galere non saranno bruciate e le catene non saranno spezzate, nessun di noi potrà dirsi davvero liber.
Il carcere è anche un’istituzione necessariamente omolesbobitransfobica. Vogliamo ribadire la nostra solidarietà a tuttx lx detenutx trans+ lesbicx e frocie. Anche in questo caso il miglioramento delle condizioni non è il nostro unico desiderio, ma vogliamo tuttx fuori dalle galere!
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Leggiamo ora un estratto dal testo “Sulla situazione delle persone trans recluse nelle carceri”
Le carceri non servono ad altro che a mantenere intatto il potere attraverso la riconferma dei privilegi di classe, genere e razza. Le persone povere, le persone migranti, le persone razzializzate, le persone trans vengono rappresentate come “naturalmente” criminali o devianti, pericolose per la società; la povertà, la discriminazione basata sul colore della pelle, l’identità o l’espressione di genere, la conseguente marginalizzazione e difficoltà a procurarsi da vivere in maniera legale, sono fattori che rendono queste persone più esposte a finire in carcere per azioni illegali realizzate principalmente per assicurarsi la sopravvivenza: furti, rapine, spaccio di droga, fra le altre.
Le carceri, oltretutto, non risolvono in alcun modo i problemi della società: rinchiudere chi si ribella al sistema dominante, o chi infrange le leggi per poter
sopravvivere in un mondo caratterizzato dal benessere di pochi e dalla povertà di molt, non risolve in alcun modo le contraddizioni e le ingiustizie (economiche, sociali, politiche) che stanno alla radice del problema. Non è un caso se, in genere, a finire in carcere sono spesso le persone già più discriminate, sfruttate e marginalizzate dalla società. Leggi sempre più repressive e retate poliziesche sempre più intense colpiscono le persone migranti senza documenti, le comunità razzializzate, coloro che vivono in strada o in case occupate, le lavoratrici del sesso, i piccoli spacciatori… queste persone sono quelle che vanno a sovraffollare le celle della democrazia, mentre chi ha soldi e potere mantiene ben saldi i propri privilegi.
La situazione delle donne trans recluse è completamente invisibilizzata. In Italia le donne trans recluse sono trattenute in condizioni di semi-isolamento all’interno delle carceri maschili, solitamente nelle sezioni “protette” dove sono reclusi anche i condannati per reati sessuali e per abusi su minori, i collaboratori di giustizia ed ex appartenenti alle forze dell’ordine; tutti detenuti accomunati dall’unico fatto di essere oggetto di ostilità da parte degli altri reclusi. L’unica eccezione è rappresentata dal carcere di Sollicciano, dove le donne trans si trovano nell’area femminile. Nelle sezioni “protette” il regime di isolamento è molto forte – una specie di carcere nel carcere; l’accesso agli spazi comuni e alle attività è estremamente ridotto – lavorare, studiare, partecipare ad attività culturali o sportive è quasi completamente precluso; il riconoscimento dell’identità di genere della persona trans è spesso negato, con difficoltà di accesso agli ormoni, al vestiario e agli accessori corrispondenti al proprio genere sentito, il rimando al maschile, gli appellativi offensivi e le molestie sessuali daparte delle guardie carcerarie. Le persone trans pagano così due volte il prezzo della carcerazione, con un regime che le punisce ulteriormente proprio a causa della loro identità di genere e della difficoltà o impossibilità di collocarle nel modello binario imperante. La struttura e il funzionamento del carcere riflettono in maniera amplificata lo stesso modello binario, cis-eteronormativo e patriarcale della società esterna: chi non aderisce ai ruoli normativi di genere viene schiacciat, sospint ai margini o costrett a rientrare in categorie in cui non si riconosce.
Per molte persone trans la questione dell’identità di genere si intreccia in maniera significativa con questioni razziali e di estrazione socio-economica. Non è un caso se la maggior parte delle persone trans recluse in Italia siano di origine sudamericana, povere, spesso senza permesso di soggiorno e che prima di finire in carcere lavorassero nella prostituzione di strada come mezzo per guadagnarsi da vivere o per pagarsi le cure ormonali e le operazioni necessarie per il loro benessere psico-fisico. La transfobia dilagante nella società, il razzismo, le politiche sulla migrazione colpiscono molte persone trans sui cui corpi si intrecciano diversi assi di oppressione, precludendo loro la possibilità di trovare un impiego e costringendole a compiere attività spesso illegali, con l’alto rischio di finire in carcere o in altre strutture detentive (come i centri di permanenza per i rimpatri, CPR).