Il 25 giugno 2021 siamo scesə in piazza a Milano per la Marciona, una manifestazione queer trans femminista di soggettività e collettività che resistono alla mercificazione delle persone LGBTQIA+ e alle discriminazioni e violenze omolesbobitransfobiche, razziste, sessiste e classiste. In questi giorni pubblichiamo sulla blogga i testi degli interventi letti nei vari presidi in cui ci siamo fermatə.
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Siamo persone quir, trans, transgenere, genderfluide, nonbinarie, agenere, siamo dissidenti del regime binario della differenza sessuale.
Sappiamo che la medicina e le scienze biologiche non sono un campo neutro, sappiamo che per il sapere coloniale, patriarcale e capitalista alcuni corpi contano più di altri, anzi, alcuni corpi non contano affatto. Ce lo insegnano le donne nere vissute due secoli fa, specialmente quelle che furono schiavizzate, ‘madri’ non riconosciute della ginecologia moderna. I loro corpi resero possibili le sperimentazioni che produssero i dati necessari a dottori maschi e bianchi per scrivere i loro articoli sulle malattie e le cure ginecologiche. Ce lo insegnano le donne di Portorico, su cui è stata sperimentata la pillola anticoncezionale prima di essere distribuita in Europa e negli Stati Uniti. Ce lo insegna la storia di Henrietta Lacks, una donna afroamericana dal cui utero vennero prelevate e commercializzate, senza il suo consenso o quello dei famigliari, le cellule tumorali HeLa, diffuse nei laboratori di tutto il mondo e all’origine di migliaia di brevetti e pubblicazioni scientifiche. Ce lo raccontano le persone intersex che ancora oggi, nei nostri ospedali, sono oggetto di operazioni chirurgiche non consensuali per essere ricondott al binarismo maschio / femmina della norma.
Vogliamo esser liber di poterci autodeterminare contro la presunta necessità di validazione (o peggio valutazione!) dei nostri corpi e delle nostre identità. Non siamo patologie da curare! La nostra disforia di genere non è una questione psichiatrica, è un problema della e per la società! Urliamo a gran voce che esistiamo e resistiamo, oltre i “due sessi”, oltre i “due generi”, oltre la violenza che ogni giorno e in ogni luogo dobbiamo affrontare!
Pretendiamo un cambiamento culturale. Il che significa necessariamente superare la legge 164/1982 e il modello “statale/istituzionale” – che esclude le persone senza documenti o cittadinanza – verso un modo più libero di autodeterminarsi e autorappresentarsi, verso un mondo lontano dalla repressione, dall’oppressione del regime binario e della differenza sessuale.
Vogliamo anche noi la libera gestione e rappresentazione dei nostri corpi, delle nostre vite, delle nostre diverse sessualità. Vogliamo libero e gratuito accesso a ormoni e cure, per tutt*.
Quando parliamo di autodeterminazione non parliamo solo di identità di genere, ma anche di libertà sessuale. Per arrivare a questa libertà vogliamo sapere che possiamo accedere a controlli, esami, terapie per le infezioni sessualmente trasmissibili senza pagare, senza dover esibire un documento, senza dover ascoltare giudizi su quanto sesso facciamo, con chi, come o perché. L’accesso a controlli, esami, terapie per le infezioni sessualmente trasmissibili deve essere anonimo, gratuito, diffuso sul territorio.
Per anni la nostra comunità è stata decimata dall’AIDS. Oggi che è possibile limitare ancora di più la diffusione dell’HIV con la profilassi pre-esposizione, la PrEP, vogliamo che anche l’accesso a questo farmaco sia anonimo, gratuito, diffuso sul territorio – libero da peso economico, e accessibile anche a persone diverse dai maschi omosessuali cis bianchi, che al momento rappresentano più del 90% delle persone in PrEP. Vogliamo che abbiano informazione e accesso, e piena libertà di scelta, anche le persone trans, le donne, le persone che lavorano nel sesso, studenti e studentesse.
Il tema delle Infezioni Sessualmente Trasmissibili non riguarda solo i maschi cis, per quanto la storia, specie della pandemia HIV, abbia dato particolare visibilità a questa fascia della popolazione – in combinazione col tradizionalissimo privilegio bianco che ha cancellato dalla storia tutti i corpi non bianchi morti per HIV.
Finché esisteranno brevetti su terapie e vaccini (pensiamo all’HIV, ma anche al COVID, ai vaccini per il papilloma virus e per l’epatite A) terapie e vaccini resteranno inaccessibili per le singole persone, e difficilmente sostenibili per i sistemi sanitari. E finché continuerà la scellerata privatizzazione dei sistemi sanitari, difficilmente si troveranno le condizioni per una libera scelta dei regimi terapeutici e di prevenzione che vogliamo seguire o per una loro equa distribuzione a livello mondiale.
Quando parliamo di autodeterminazione parliamo anche di scelte consapevoli. E crediamo che per essere davvero consapevoli nelle scelte che facciamo ci sia bisogno di informazione e di formazione. In anni di lotte, di sesso e di amore, abbiamo accumulato conoscenze che ci hanno salvato la vita: saperi sulla prevenzione, sui vaccini, sulle terapie. Vogliamo che questi saperi siano diffusi, che siano diffusi attraverso centri di formazione e di informazione, consultorie autogestite che offrano un’alternativa alle cure accentrate negli ospedali o peggio nelle cliniche private. Vogliamo consultorie autogestite che impongano un confronto serio al moralismo di troppo personale medico, e all’obiezione di coscienza permessa da un sistema che ancora una volta esercita violenza su chi vuole abortire, su chi si vuole proteggere o meno, sulla comunità LGBTQ+.
Di aborto si muore. Come è possibile che l’obiezione di coscienza ancora renda praticamente impossibile abortire?
Ricordiamo ancora una volta che la chiesa uccide. La chiesa cattolica ha le mani sporche del sangue di tutte le morti per aborto. Non dei feti, ma delle persone che lasciate da sole sono morte per abortire in segreto. La chiesa cattolica ha le mani sporche del sangue di ogni aggressione contro trans, lesbiche, froci, contro tutte le persone che ha tacciato – in maniera più o meno esplicita, anche nella forma della misericordiosa e colpevolizzante accoglienza del “diverso” – di essere pervertite, anche col sorriso ipocrita dei papi buoni.
In questi giorni, la chiesa cattolica si rende ancora una volta colpevole, colpevole, colpevole, di incitamento alla violenza. Ancora una volta esercita il suo infame diritto ad associarsi alla politica sedicente laica – politica che probabilmente darà ascolto alle manipolazioni violente della chiesa – per proibire che nelle scuole cattoliche si istituisca una giornata contro l’omolesbobitransfobia, come ha sempre ostacolato i programmi di educazione sessuale. Noi vogliamo che la scuola laica sia l’unica ragionevole forma di istruzione, e che tutto il sistema educativo educhi ad affetto, sessualità e consenso, per eliminare alla radice la cultura dello stupro, del dominio e della colpa che anche la chiesa vorrebbe continuare a imporci, in questa sua guerra santa contro tutte le persone che non contribuiscono a sfornare figli.
Si muore anche di silenzio e vergogna. La paura del sesso, alimentata dal bigottismo religioso, porta troppe persone – tra le altre cose – ad evitare i test o a non comunicare eventuali infezioni.
Vogliamo praticare la visibilità: abbiamo imparato davvero che il silenzio uccide? parliamo abbastanza anche tra di noi della nostra salute? facciamo i test? abbiamo imparato a comunicare il nostro stato di salute alle altre persone con cui facciamo sesso? Riusciamo ad analizzare le paure e i pregiudizi che ci spingono a non comunicare queste informazioni? L’attaccamento a ideali di monogamia e castità che in moltx predicano e in pochx praticano, diffondendo un silenzio che uccide, quando non comunichiamo alle persone che ci sono più vicine informazioni fondamentali per la loro salute, o non ci informiamo sulla nostra.
Sappiamo che non rilevabile vuol dire non trasmissibile: sappiamo che le persone che sono in terapia per l’HIV non possono trasmettere il virus. Eppure ancora oggi qui, ci ritroviamo a dire ad alta voce che dobbiamo e vogliamo ancora lottare contro lo stigma imposto a chi vive con l’HIV, a chi pratica sesso consapevole e non nasconde le infezioni che ha.
Lo stigma culturale verso la psicopatologia e l’invisibilizzazione della malattia mentale sono due facce della stessa medaglia: ci vogliono performanti, forti, produttiv, felici sempre e san di mente! La tristezza è ammessa solo per invitarci al consumo e all’acquisto! Siamo obbligatx a farcela solo con le nostre forze e, diciamocelo, pure con i nostri soldi! Il paradosso del capitalismo, che ci fa male e ci vuole pure sane, dove la norma è nascondere a sé e agli altr il malessere psichico, le nostre fragilità. Ma in quest’ultimo anno è stato evidente a tutt, con la pandemia, quanto sia sempre più faticoso convivere con ansie, ferite, precarietà esistenziale ed economica e quanto sia necessario condividere, occuparsi e preoccuparsi collettivamente e politicamente delle nostre fragilità. Si può essere fragil, si può essere improduttiv, si può purtroppo stare male. Ma bisogna anche curarsi, prendersi cura delle nostre fragilità e avere i mezzi per farlo. La tendenza a lasciare le persone sole o a delegare alle famiglie la cura delle persone fragili è altissima. Ma sappiamo quanto spesso le famiglie non abbiano le risorse economiche o non siano luogo sicuro e funzionale. La soluzione deve essere la gratuità delle cure, creare legami di cura diffusi, sfamiglie, che è quello che vogliamo costruire nei nostri spazi politici, nelle strade, con iniziative e manifestazioni come questa: dobbiamo costruire alleanze di corpi.