Oggi è il Giorno di Commemorazione Trans.
Sentiamo l’esigenza di prendere parola per ricordare: ricordare chi è oppress dal patriarcato cis-sessista e soffre la violenza transfobica e transmisogina che nella vita quotidiana è tutt’altro che invisibile. La transfobia non è “paura” nei confronti delle persone trans*, ma è odio e rifiuto verso l’autodeterminazione delle persone trans*. Questo tipo di violenze raggiunge l’apice negli omicidi transfobici e nello specifico nei transfemminicidi, perciò oggi ricordiamo le sorelle e i fratelli uccisi. Crediamo che sia importante portare avanti la memoria di queste persone che facevano parte della nostra comunità, perché ci ricordano che c’è sempre molto per cui lottare. Ci ricordano che innanzitutto dobbiamo lottare per le nostre vite, per rimanere in vita. La memoria e la lotta sono collegate e non si portano avanti solo una volta l’anno.
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Ci teniamo a ribadire che la violenza transfobica non si manifesta soltanto quando un caso di cronaca fa scalpore, ci commuove, ci fa male, ma è violenza strutturale e parte integrante del sistema di oppressione patriarcale. Questa violenza si manifesta ogni volta che i nostri documenti non riportano i nomi che abbiamo scelto, ogni volta che ci è reso quasi impossibile adeguare i nostri documenti, ogni volta che le autorità utilizzano quei documenti per sovradeterminare chi siamo. Le autorità, che siano rappresentate dallo sbirro di turno o da un funzionario amministrativo, non devono imporci categorie di genere fisse; come non devono limitare la nostra libertà di movimento sulla base della nazionalità scritta sui nostri documenti. Lo Stato si arroga il diritto di controllare le nostre vite; agisce in prima persona e legittima quella violenza transfobica e razzista che è intrinseca negli usi dei documenti da parte delle autorità.
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Infine, crediamo che la commemorazione non debba passare dalla spettacolarizzazione degli omicidi transfobici, ma è attraverso la lotta che il ricordo delle persone trans* uccise diventa forza collettiva. La memoria per noi non può essere fine a sé stessa, ma diventa rabbia e di conseguenza attacco al sistema che agisce queste violenze. Non ci può bastare un necrologio ogni tanto, ci rifiutiamo di rimanere nel ruolo di vittime.
In quest’ottica abbiamo pensato di consigliare la lettura di due articoli che riflettono sul vittimismo che spesso circonda il Giorno di Commemorazione Trans, riconoscendo l’importanza del tenere viva la memoria e proponendo alternative. Entrambi gli articoli li trovate nell’opuscolo “Spazi Pericolosi. Resistenza violenza, autodifesa e lotta insurrezionale contro il genere”. Il primo, “Una pratica insurrezionale contro il genere: riflessioni sulla risonanza, memoria ed attacco” lo trovate qui sotto e il secondo “Dalle Candele alle Fiaccole: Vandalismo in Alternativa al Giorno di Commemorazione Trans* e gli Attacchi Trans che verranno” lo potete leggere qui.
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marcione allergiche al binarismo di genere
Una pratica insurrezionale contro il genere: riflessioni sulla risonanza, memoria ed attacco
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Vorrei poter dirti che sono diventat insensibile al dolore dopo tutti questi anni, ma la notizia dell’uccisione di un’altra donna trans mi perfora gli intestini, ogni volta che arriva. Più che scoprire i dettagli dell’uccisione di Deoni Jones, sono qui a respirare con difficoltà e a cercare le parole o le azioni per esprimere il mio odio totale verso la società che produce i ritmi del lutto e della violenza che protegge il genere. Quei ritmi sono gli unici ascoltabili per quelle persone come noi, quelle che cercano una strada fuori dall’orribile canzone del genere. C’è qualcosa dentro me che quasi desidera diventare indifferente a questo ritmo. Ma so che non sarebbe abbastanza per mitigare il riverbero del genere nel mio corpo e nella mia vita quotidiana, suono che ho incessantemente provato a silenziare con ormoni, alcool, droghe e scrivendo saggi stupidi. Ho paura che questo sia uno di quei tentativi inutili.
Molte di noi hanno provato in questo e altri modi a gestire il dolore del genere per conto proprio; ma non c’è niente che possiamo fare per rendere più leggeri i nostri cuori appesantiti, a parte interrompere collettivamente questo ritmo e smantellare il genere nella sua totalità. Avendo questo in testa, elaborerò una proposta per quelle persone stanche della violenza e morte di genere, per la creazione di un nuovo ritmo di vendetta contro l’ordine del genere.
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Ci sono alcune pratiche che sono state messe in atto da persone che si autodefiniscono “trans radicali” o “anarcofemministe” (che fanno parte di certe sottoculture di attiviste) in risposta alla questione di genere . Queste pratiche includono laboratori sul consenso, opuscoli sulla transessualità e segnalazioni dei comportamenti “di merda” interni alla loro sottocultura, oltreché feste ed orgie. Non c’è niente di inerentemente “sbagliato” in queste cose, ma se prendiamo sul serio l’idea che dobbiamo distruggere il genere e tutte le relazioni sociali di questa società è chiaro che qualcosa manca in una pratica che affronta il genere solo a livello di uso linguistico e di dinamiche sottoculturali. Se abbandoniamo il modello di attivismo di sinistra e accettiamo il fatto che “i movimenti rivoluzionari non si diffondono per contaminazione, bensì per risonanza”; capiamo che, come minimo, ci siano alcuni problemi col pensiero che questi metodi isolati possano costruire da soli una forza per distruggere il genere. Queste pratiche non sono all’altezza di affrontare direttamente le manifestazioni della violenza di genere e di creare pratiche che risuonino nell’inconcepibile dolore che portiamo nel profondo dei nostri corpi. Dobbiamo costruire un ritmo di lotta che risuoni nei nostri corpi e che costruisca relazioni tra attacco, memoria e il terrore di genere che sperimentiamo nel quotidiano.
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È abbastanza facile iniziare una discussione sulla strategia insurrezionale con la nozione di attacco. Tuttavia molte confondono questo processo con il semplice danneggiare una banca a caso o scrivere un comunicato che dice agli sbirri di farsi fottere. Ovvio, non sono interessat a condannare tali pratiche, sono semplicemente più interessat ad esaminare i modi in cui varie nozioni e metodi di attacco sono posizionati in relazione alla nostra memoria e tutte le emozioni che si sono sviluppate come conseguenza alla violenza di genere che abbiamo sopportato. Se da un lato è abbastanza facile deridere le veglie a lume di candela o il Giorno di Commemorazione Trans*, dall’altro questi momenti servono a creare una continuità e un ritmo di memoria in relazione alla violenza transfobica di cui molte prospettive radicali mancano. Quando sentiamo il nome Deoni Jones oggi e vediamo gruppi di persone rannicchiate sulle candele, non possiamo evitar di pensare a Dee Dee Pearson, Shelley Hilliard, Lashai Mclean, Sandy Woulard, Chanel Larkin, Duanna Johnson, Gwen Araujo e Marsha P. Johnson. Non possiamo evitare che le nostre menti si riempiano delle storie di quelle persone uccise per mano di una società che deve mantere l’ordine di genere a tutti i costi. È così facile perdersi nel dolore che si accompagna a tutto questo, guardarsi le spalle mentre torni a casa tutte le notti sperando che quel rumore che hai appena sentito non sia una persona pronta a piombare su di te. Presto potresti dimenticarlo, ma ti verrà ricordato il mese dopo quando succederà ancora a un’altra donna trans, in un’altra città o forse nella tua.
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Questo è il ritmo della nostra memoria, miseria e paura collettive, che si ripete ad ogni uccisione, veglia o Giorno di Commemorazione Trans*. Una pratica insurrezionale che attacchi le fondamenta del genere deve usare anche i ritmi della memoria e dell’emozione, ma verso la distruzione dell’ideologia di vittimismo e passività che le precedenti pratiche mantengono. Compagne insurrezionali di altre parti scrivono: “Il potere ha creato una macchina della dimenticanza, ogni volta più macabra e perfetta, per mantenere le condizioni in suo favore. L’amnesia genera un’accettazione della realtà imposta, limitandosi all’osservazione delle lotte passate o delle fotografie di compagne, tagliando ogni connessione con la realtà. Accettazione ottenuta mostrando quanto impossibile sia qualsiasi tentativo di disobbedire al padrone”. Il rifiuto dell’ideologia di vittimismo e passività si è manifestato con attacchi in solidarietà con compagne insurrezionali che sono decedute o che stanno affrontando la repressione. Questi attacchi sono un tentativo di sfruttare le riserve di odio viscerale per questo mondo e la sua violenza nei confronti di chi condivide il desiderio di vedere una fine a tutto questo, collegando i ritmi di memoria collettiva, il desiderio di vendetta e il territorio di lotta in cui sono collocati.
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Potremmo essere capaci di rimuovere questa pratica di attacco da una situazione in cui le anarchiche sono solo autoreferenziali alla storia delle loro lotte e applicarlo anche alla nostra posizione tra i cicli di violenza e uccisione di genere e il lutto. In realtà, questo è già stato sperimentato dalle anarchiche negli stati uniti. Questo modello è stato sperimentato nella campagna “Vendica Duanna” di BashBack!, in cui anarchiche queer di diverse città hanno realizzato azioni in risposta all’uccisione di Duanna Johnson a memphis (tn) nel 2008. Questa campagna ha dato vita a una pratica che ha collegato emozioni viscerali di vendetta, memoria collettiva ed attacco e ha dato forza e promosso il rifiuto della vittimizzazione. Forse il suo fallimento è stato non dare continuità alla materializzazione di questa forza ad ogni morte, anche se negli ultimi mesi si sono prodotti nuovi attacchi di vendetta. Se stiamo creando un ritmo per contrattaccare, dobbiamo essere costanti nel rifiutare che la morte di una donna trans rimanga invisibile. Dobbiamo imporre il nostro ritmo incalzante, identificando i nodi del controllo e la violenza di genere nel nostro territorio di lotta, scatenando la nostra vendetta su di loro, smantellando i ritmi della paura, della vittimizzazione e i gesti vuoti che continuano a caratterizzare le attuali risposte delle anarchiche, delle femministe e delle attiviste trans* alla violenza di genere. Collegando lo spazio della nostra vita di tutti i giorni ai cicli di lotta alla violenza di genere rendiamo concreta la nostra resistenza e lasciamo un segno materiale del nostro rifiuto del vittimismo. Se questa pratica vuole avere risonanza, dobbiamo creare costantemente questo ritmo e rifiutare di permettere a chiunque di ignorare il moltiplicarsi delle morti di persone trans* attorno a noi, attraverso il sabotaggio dei mezzi di comunicazione, scritte sui muri e altri metodi. Con diversi metodi di azione, abbiamo la possibilità di sperimentare il potenziale di diffondere tecniche di sabotaggio della produzione di genere. Lasciateci sperimentare con audacia a questo proposito. Solo allora la dolorosa canzone del genere potrà essere sostituita dal rumore del suo collasso.