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VIA LECCA /// il discorso con cui chiudiamo, per aprirci a nuove avventure

Posted on 2020/07/14 - 2024/04/11 by phrocissime

Care amiche e care amiche,

care amiche strane,

care amiche queer,

care amiche trans*,

care amiche e basta,

e anche voi,

caro gheo medio e cari ghei medi, care amiche lesbo chic e lesbo meno chic, care frociarole e anche tu,

carissima Milano da bere, e da stendere, e da fumare: come va?

Vi parla la Marciona, le vostre amiche strane, quelle queer, quelle più o meno trans, quelle bo.

 

Ci siamo mobilitate, ci siamo messe in marcia per trovare nuove direzioni per la Locomotiva d’Italia – Milano, sì, Milano. Ci siamo rese conto che questa città, più di ogni altra in Italia, si basa sullo sfruttamento intensivo delle nostre vite. Quando abbiamo lasciato le case dove ci hanno allevate, che fossero qui a Milano o in qualche paesino degli Appennini, delle Ande o dell’Africa lontana, abbiamo capito una cosa.

Abbiamo capito che questo grande open-space, quest’azienda a cielo aperto, questo grande autogrill che ci spacciano come “la città europea” del fecondo Nord, è invece un allevamento intensivo di forza lavoro. Siamo ingabbiate in case troppo costose, o per strada costrette a ritagliarci spazi tra le auto, all’ombra di palazzi senza alberi. Se siamo impiegate, se un lavoro ce l’abbiamo, magari siamo chiuse quaranta ore in un ufficio, costrette a prendere droghe e medicinali per lavorare, per dormire, per uscire, per scopare.

L’amministrazione cittadina promuove un’immagine di Milano europea, aperta, cosmopolita, all’avanguardia. A noi sembra però che queste politiche riguardino solo la clientela cittadina o del turismo, di chi può permettersi lo shopping della moda, o il mercato degli appartamenti. Case svuotate per far spazio al turismo, mentre la fascia di popolazione non privilegiata, anche e non solo queer, viene allontanata nelle periferie o rinchiusa in case ripostiglio, in attesa della prossima gentrificazione. Ci aspettiamo che il Comune metta in atto misure di contenimento per la devastazione provocata dagli AirBnB? Rendiamoci conto che invece sta promuovendo l’immagine di Milano città aperta al turismo (anche gay e lesbico).

L’amministrazione comunale si presenta come avanguardia, ma invece altro non è che la solita discriminazione per classi economiche. Assomiglia più ai triangoli rosa dell’omocausto che agli arcobaleni.

E qui nel perimetro del Lazzaretto adesso sorge il distretto arcobaleno, il rainbow district. Ricordiamo che il Rainbow district è una associazione di esercenti, dei padroni dei locali che somministrano alcolici qui in zona.

A molte di noi non dispiace che esistano locali arcobaleno, ma tutte noi siamo molto perplesse su quale tipo di socialità si promuove in questa zona.

Per noi non essere eterosessuali significa vivere la società secondo altre regole. Non costruire una vita omosessuale modellata sulla base di quella etero.

Matrimoni, famiglie, figli, monogamia, culto del corpo scultoreo e disprezzo di tutto ciò che è diverso (troppo grasso, troppo magro — vi ricordate i profili su grindr? non grassi, non vecchi, non asiatici, solo italiani)… Quando siamo qui, in mezzo agli arcobaleni, ce lo chiediamo, e lo chiediamo a tutte voi — questi arcobaleni ci liberano davvero dalle oppressioni razziste e classiste?

Questo nuovo Lazzaretto, che chiamano rainbow district, è uno spazio liberato in cui viviamo le vite che vogliamo, o semplicemente una miniera di profitto? chiediamocelo, qual è il discorso politico in queste strade? si parla di come siamo vestite, o di come possiamo liberarci dalla schiavitù dell’industria della moda? Si parla di comprare una seconda casa, o di occuparne una? si parla di fare carriera in azienda, o di sfruttamento del lavoro? Si parla di vacanze a Tel Aviv, o di colonialismo?

Vacanze a Tel Aviv, a Città del Capo, a colpi di feste in discoteche costruite letteralmente sui cadaveri di popolazioni oppresse. Questi sono i falsi colori arcobaleno di una finta libertà che negli anni ci vendono sempre più le multinazionali e le agenzie del turismo di massa. Questo è capitalismo mascherato da libertà, questa è solo una nuova forma di oppressione coloniale.

Lo ricordiamo in coro: Al largo della Libia, sul fondo dell’Egeo, giace il privilegio di ogni europeo!

***

Sulle casacche degli uomini gay e bisessuali internati nei campi di concentramento nazisti un triangolo rosa veniva cucito in spregio alla loro femminilità. Negli anni ci siamo riappropriate, come movimenti lgbtqi+, del triangolo rosa, che è diventato prima simbolo della lotta contro lo stigma verso le persone sieropositive, e della lotta per l’accesso alle terapie e più recentemente di tutta la violenza perpetrata contro i corpi non conformi alla norma etero e cis: lesbiche, froci, trans, intersessuali, bisessuali, asessuali, queer.

Per questo abbiamo appeso un triangolo rosa, qui al margine del Lazzaretto, del rainbow district, della Milano arcobaleno. Perché di omonormatività si muore. È solo un altro nome di quella che chiamano omofobia, è solo un altro nome di quello che chiamiamo eteropatriarcato.

Il triangolo rosa ci ricorda che le aggressioni di stampo sessuale e la violenza di genere uccidono ancora, che la violenza è anche verbale, è prendere in giro la lesbica camionista, la trans ambigua, la frocia cicciona, la passiva sfranta, e che troppo spesso proprio dentro i nostri recinti arcobaleno tiriamo su ancora più alte le sbarre delle nostre prigioni. Noi non ci vogliamo mettere dalla parte dei nostri carnefici. I triangoli rosa non li vogliamo cucire addosso ai nostri sorelli e fratelle.

Si parla oggi di nuove leggi contro l’omotransfobia. Ma non crediamo che inasprire le pene o riempire le galere sia la soluzione ai nostri problemi. Viviamo male, soffriamo o moriamo perché la nostra società è intrisa di violenza eteropatriarcale.

Perché il governo decide di varare leggi in nostro nome? per benevolenza o per interesse politico? Perché lo stesso governo che dichiara di voler tutelare le persone “queer” (bianche o con cittadinanza italiana) è lo stesso che rinchiude le persone senza documenti (e sicuramente tra queste persone ci saranno persone queer) in centri di detenzione? L’ipocrisia dello Stato è un tranello in cui rischiamo di cadere.

Contrastare la violenza eteropatriarcale è una lotta di tutti i giorni, perché la violenza è quotidiana e strutturale. Le aggressioni fisiche compiute da singoli individui sono solo la punta dell’iceberg; l’omofobia è principalmente di stato, comincia nelle famiglie, cresce nelle scuole, e finisce nelle prigioni.

Vogliamo che le nostre comunità possano dotarsi di strumenti di informazione e di crescita, di sviluppo individuale e collettivo, per eliminare alla radice le basi della violenza. Dai centri antiviolenza, ai consultori, ai percorsi di formazione e di accesso al lavoro del personale nelle scuole, alla distribuzione capillare sul territorio delle risorse: formiamo e assumiamo insegnanti, apriamo le scuole, autogestiamo la formazione. Ce lo insegna oggi più che mai la riduzione dell’acceso alle strutture scolastiche in tempo di pandemia. Ce lo insegna oggi più che mai il disastro sanitario di una Lombardia senza posti letto in terapia intensiva. Sradicare la violenza comincia dal seminare benessere.

Questo voler vivere nell’uguaglianza, dimenticando che in realtà è fatta di costrizione e privilegio, questa cosa si chiama omonormatività. Si chiama omonormatività e noi la rifiutiamo.

Davvero abbiamo bisogno di uguaglianza invece che di libertà? Noi ci rivendichiamo la libertà di essere diverse, di essere strane, di essere marce. Noi ci rivendichiamo le nostre vite irregolari, le nostre sessualità storte, i nostri corpi e i nostri vestiti né da uomo né da donna — queste sono le basi della società che vogliamo. Una società che non ci obbligherà a chiamarci etero od omosessuali, a definirci in base ai nostri affetti e alla nostra sessualità.

Viviamo tutte in una società che ha un disperato bisogno di definirci, di incasellarci. Maschi e femmine, uomini e donne, adulti e bambini, cis e trans, etero e omo, umano e animale, naturale e artificiale, bianco e nero…

No! che succede se ne facciamo un po’a meno? che succede se proviamo a giocare con altre regole? chi ci perde? noi, o chi cerca di trarre profitto dalle nostre vite in gabbia? non vediamo forse nelle galline in batteria la stessa prepotenza e le stesse sevizie che vediamo nello sfruttamento capitalista del lavoro?

Veniamo sfruttate come bestie, ma non allo stesso modo degli animali allevati e torturati per la loro carne, le loro uova, la loro pelle, ma in un certo senso lo sfruttamento dei nostri corpi e della nostra forza lavoro è paragonabile a quello imposto agli animali, si potrebbe anche dire che molte di noi vengono animalizzate. E adesso ci vorrebbero magari vendere anche un bel safari in India per gay e lesbiche? diciamo no, grazie!

Per noi essere frocie, essere trans, essere lesbiche, essere bisessuali, vuol dire soprattutto avere uno sguardo critico sulla società etero, cis, patriarcale e sulle sue sbarre mascherate da senso del decoro. Vuol dire capire che la discriminazione e oppressione che viviamo è collegata ad altre forme di dominio, come il razzismo, lo specismo e il capitalismo. Vuol dire rifiutare di essere integrate e assimilate in un sistema che è basato sulla violenza. Vuol dire ribellarsi e lottare, esprimere la nostra rabbia contro un mondo che ci odia, uscire dagli schemi prestabiliti e violare la Legge creata per proteggere la proprietà privata, il maschilismo e la norma eterosessuale. Amiche, essere queer per noi è non essere da sole in questa lotta. È ritrovarci nelle strade, in cucina o nelle camere da letto.

Care amiche e care amiche, grazie di essere state con noi. Questa era la non biciclettata di Marciona Milano. Trovate in giro i nostri volantini, e in rete la nostra blogga (marciona.noblogs.org). Non siamo sole, non siete sole in questa lotta. Veniamoci a trovare!

♥

 

∴ mai abbastanza? trovi tutte le parole d’amore del 27.06.2020 queer e ora

 

Posted in Comunicattive

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