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PRENDIAMOCI CURA DI LORO, PRENDIAMOCI CURA DI NOI /// riflessioni sopra e sotto la Regione Lombardia

Posted on 2020/07/14 - 2024/04/11 by phrocissime

In questi ultimi mesi la cura è entrata al centro di ogni dibattito, tutti parlano di cura, tv, giornali, peccato che la parola “cura” sia sulla bocca di tutti nel peggiore dei modi possibili. La cura di cui si parla infatti è la cura che viene decisa dall’alto sui corpi e sulle vita di tutte noi, è una cura volta a proteggere i profitti, una cura che ci ha fatto tenere aperto il 50% delle attività produttive in questi due mesi, è una cura che si è agitata per aprire le fabbriche il prima possibile; è stata la cura di nascondere i dati epidemiologici, la cura di sacrificare con la retorica dell’eroe quello che noi tutte sappiamo già da tempo essere “lavoro essenziale”: badanti, infermiere, cleaners, sexworkers, riders, madri, gli schiavi delle consegne a domicilio, dentro cui ancora oggi scoppiano focolai senza alcun controllo. Attenzione – questa è la cura di cui si parla, la cura per gli interessi del capitale: il mantenimento del mito, di origine coloniale, di una produttività estrattiva senza fine, quello stesso produttivismo che ci ha portato ancora qui: all’ennesima crisi ambientale, sociale, economica.

Sappiamo però che questo “modello di cura” non è niente di nuovo. Le donne, le persone lgbtiqueer, le persone nere, le madri, tutti i corpi dentro cui si intrecciano linee di oppressione secolari, conoscono bene la doppia faccia della cura: da una parte attività che intreccia tempo, relazioni, saperi e tecnologie per garantire la riproduzione della vita e il mantenimento delle risorse del pianeta, dall’altra, la cura come mera ancella del capitalismo, motivo della sua stessa possibilità di esistenza. Mettiamola in questo modo: fino ad ora, la maggior parte del nostro lavoro di cura non retribuito, mal pagato e altamente invisibilizzato, è stato in funzione di curare le distorsioni del capitale, quelle che producono disuguaglianza, violenza e l’enorme quantità di distruzione di vite e territori. Senza di noi, che sì ci siamo tenute in vita, ma che anche abbiamo lavato i panni sporchi del capitale, questo modello produttivo crollerebbe: l’avevano capito molto bene le femministe già negli anni ’70.

E oggi, attraverso la pandemia di Covid-19, questa contraddizione è emersa in modo più esplicito, è chiarissima la guerra in corso tra modelli di cura, tra idee e pratiche della cura diametralmente opposte. Allora è arrivato il momento di scioperare da questo modello di cura, di pensare la cura come *IL* luogo del conflitto, come spazio dentro cui ribaltare le priorità, dentro cui scegliere noi cosa valga la pena continuare a riprodurre e cosa invece no. È arrivato il momento di approfondire le ragioni politiche della cura e di rafforzare la sua intrinseca natura anti-capitalista. Chi può vivere e come può vivere non può più essere una scelta relegata a qualche manciata di uomini ricchi e bianchi. Sì, prendiamoci cura di loro: andiamo a bruciargli e case.

Questo palazzo [la regione Lombardia, NdR] è la rappresentazione materiale di quando gli interessi privati abbiano occupato gli interessi pubblici, un pubblico che sappiamo essere ancora troppo stretto, che si definisce/scrive universale ma da molte prospettive si legge ancora parziale, un pubblico che non ci riconosce in quanto soggette. Le nostre lotte negli ultimi cinquant’anni non hanno fatto altro che allargare l’accesso al pubblico: AIDS, consultorie, aborto, ormoni, sono tutti pezzi della nostra storia contro l’estrattivismo da corpi e territori e per la democratizzazione e l’universalità dell’accesso alle cure.

Anche in questi mesi abbiamo continuato a lottare, per esempio garantendo l’accesso all’aborto per lu compagnu che ne avevano bisogno, ci siamo passate ormoni là dove erano spariti, abbiamo imparato a sintetizzarli, ci siamo curate a vicenda, abbiamo agito secondo un principio di autoresponsabilizzazione collettiva per il contenimento del contagio, di autogestione critica del distanziamento fisico – nella consapevolezza che per le donne e le persone lgbtiqueer essere isolate a casa ha rappresentato un arretramento nei propri percorsi di autodeterminazione. Loro ci vogliono semimorte, un po’ vive per servire, un po’ morte per tacere. E allora combattere per e con cura significa lottare per l’accesso universale alla salute pubblica, alla ricchezza e alle scuole; lottare contro la violenza della polizia e dei governi; lottare contro lo sfruttamento di comunità, terre e risorse comuni – in una parola, lottare contro l’accumulazione e la proprietà. Prendersi cura è lottare contro la gestione necropolitica delle nostre vite e lottare è prendersi cura della ridistribuzione della vita sulla terra.

 

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