Riceviamo e condividiamo volentieri sulla nostra blogga questo articolo sul lavoro sessuale e la solidarietà in tempi di pandemia e crisi. Per esplicita richiesta della persona che ha scritto il contributo, lo pubblichiamo rispettando la sua firma anonima: pampayruna migrante; condividiamo le sue preoccupazioni riguardo lo status di illegalità in cui le norme in vigore la costringono e quindi il suo bisogno di anonimato.
Lo scritto è stato pubblicato anche sul bollettino cartaceo e digitale Ruggiti [clicca qui per il pdf], pampayruna migrante desidera condividerlo sulla blogga sperando di diffonderlo in ambiti più femministi queer. >>> per pubblicare sulla blogga, scrivici a sottomesse@anche.no!
Solidarietà fra lavoratrici sessuali
Per quanto difficile possa essere, facciamo uno sforzo e fermiamoci a pensare oltre le centinaia di migliaia di morti per coronavirus e le restrizioni della libertà che ci vengono imposte. Anche se è importante analizzare i divieti messi in atto dalle autorità e le conseguenze negative che stanno avendo sulle nostre vite (ad esempio: distanziamento dai nostri affetti, limitazioni alla libertà di movimento, aumento dei casi di violenza domestica), in questo articolo mi concentrerò sul tema delle disparità economiche.
Le disparità economiche erano presenti da prima della crisi coronavirus, anzi possiamo affermare senza dubbio che il sistema economico in cui viviamo -il capitalismo globalizzato- si fonda proprio su quelle disparità. Ma cosa succede in tempi di crisi? Il coronavirus ha portato ad una crisi che è sia sanitaria che economica e fermare o rallentare la produzione e il settore dei servizi ha lasciato senza una fonte di reddito anche molte delle persone che svolgono lavori non regolamenta ti1 o al di fuori dalla legalità.
Vivere nell’illegalità, lavorare nell’illegalità
Prima di procedere vorrei posizionarmi per spiegare ciò che mi ha spinto a scrivere questo articolo. Sono una persona prostituta2. Il lavoro sessuale è una mia fonte di reddito (fra le altre) e lo svolgo sempre con un’espressione di genere femminile, anche se la mia identità di genere è neutra. Sono una persona trans* razzializzata3 e migrante. Possiedo documenti che mi permettono di soggiornare in italia e di transitare in altre parti d’europa4, svizzera compresa.
Per contenere la diffusione della pandemia di coronavirus, il 13 marzo il Consiglio Federale Svizzero ha decretato che possono entrare “dall’Italia in Svizzera soltanto i cittadini svizzeri, le persone con un permesso di soggiorno e quelle che devono venire nel nostro Paese per motivi professionali. […] Infine possono varcare il confine con l’Italia le persone in situazione di assoluta necessità.” Questo provvedimento dal 25 marzo è stato poi esteso a tutte le persone provenienti da tutti gli altri Stati Schengen5.
Al momento mi trovo a casa di amiche in una città della svizzera interna e credo proprio di godere di un privilegio se penso che, per fortuna, ho trovato lavoro poco prima che scattassero tutte le restrizioni alle attività lavorative; sto svolgendo un lavoro di cura, non legalmente ma remunerato. Questo privilegio ce l’ho nei confronti di tutte le persone che sono rimaste senza lavoro, ma a mia volta non sono veramente in una posizione molto privilegiata: in quanto persona migrante senza permesso di soggiorno valido in svizzera, la mia permanenza in questo territorio è stata resa illegale.
Parlerò principalmente della questione del lavoro sessuale e non tanto della migrazione, perché penso che per trattare quest’altro tema avrei bisogno di accesso a informazioni che ora non possiedo (in sostanza, perché ignoro moltissimi aspetti che caratterizzano la complessità dell’argomento). Ritengo comunque importante far presente che, per quanto riguarda i documenti, mi trovo in una condizione molto precaria che sta avendo effetti negativi sul mio benessere mentale; anzi ho bisogno di raccontare questa cosa perché ho la speranza che ciò mi aiuti a vivermi un po’ meno male questa situazione.
Esasperazione delle diseguaglianze sociali
Tornando al discorso dell’aumento delle disparità economiche, è abbastanza evidente che, da questo punto di vista, le conseguenze più pesanti della crisi le vivono le persone che svolgono lavori non regolamentati e/o le persone migranti sprovviste di permessi di soggiorno, molto spesso legati al contratto di lavoro. Il sistema in cui viviamo si basa sullo sfruttamento del lavoro (nello specifico, quello non regolamentato è più redditizio per i padroni sfruttatori perché privo di tutele per chi lavora) e sul razzismo e la xenofobia istituzionalizzati, che rendono possibile il ricatto delle deportazioni quando non accetti di lavorare in condizioni di sfruttamento. Se hai fortuna, sei riuscit a mettere da parte dei soldi che ti serviranno in questo periodo in cui non puoi lavorare; ma se per vari motivi non hai denaro a disposizione, ora ti trovi nella merda, a maggior ragione se sei responsabile di altre persone (famiglia, amic o amanti) che dipendono da te economicamente. In alcuni casi la fortuna arriva sotto forma di solidarietà, perché magari hai una rete di persone che si prendono cura di te in una situazione di bisogno come questa.
Se prima della crisi la sfortuna già condizionava la vita di molte persone in una situazione economicamente precaria, ora che ci troviamo in uno “stato di emergenza” le disparità fra chi è privilegiat economicamente e il resto delle persone si sono ingrandite. Per quelle di noi che ci vediamo private di molte delle libertà a cui normalmente abbiamo accesso, è comprensibile che ci concentriamo a cercare di soddisfare i bisogni primari che ora vengono compromessi; ma penso che sia importantissimo che questa cosa non porti all’egoismo distruttivo, ovvero che nell’affanno di soddisfare i nostri bisogni finiamo per pensare solo a noi stess. Se analizziamo il contesto in cui viviamo, potremmo renderci conto che ci sono persone che si trovano più nella merda rispetto a noi… a quel punto non risulterebbe spontaneo solidarizzare?
Mutuo aiuto e solidarietà contro carità e pietà
Un po’ ovunque nel mondo sono sorte varie forme di solidarietà dal basso, non capeggiate da politici e non basate sulla compassione o la pietà, ma caratterizzate da una reale empatia. Pensiamo ai gesti solidali con chi si è rivoltat in carcere o alle raccolte e distribuzioni di beni di prima necessità per le persone che non possono permetterseli. È proprio una di queste dimostrazioni di solidarietà che mi ha spint a scrivere questo articolo. In italia, delle compagne femministe, lavoratrici sessuali, collettivi antitratta, comitati per i diritti delle prostitute e persone alleate hanno dato vita ad una campagna di raccolta fondi per sostenere economicamente le lavoratrici sessuali più colpite dalla crisi coronavirus [potete consultarla qui: https://www.produzionidalbasso.com/project/covid19-nessuna-da-sola-solidarieta-immediata-alle-lavoratrici-sessuali-piu-colpite-dall-emergenza]. Pure in svizzera è stata lanciata una campagna di raccolta fondi organizzata anch’essa da un’organizzazione di lavoratrici e lavoratori sessuali ed alleat [la trovate qui: https://www.lepotsolidaire.fr/pot/3mvf5yzv].
La solidarietà fra persone che vivono, o che hanno vissuto, una forma di oppressione in comune è preziosa; la cosiddetta solidarietà fra sfruttat permette di spezzare quel meccanismo di dipendenza che spesso s’innesca nei confronti delle persone più privilegiate. In questa prospettiva s’inseriscono le attività delle compagne prostitute che hanno lanciato la campagna di raccolta fondi e che inoltre promuovono l’auto-organizzazione e la solidarietà fra lavoratrici sessuali, combattono lo stigma che circonda il lavoro sessuale, rivendicano la decriminalizzazione del lavoro sessuale, si oppongono alla tratta e allo sfruttamento della prostituzione.
Come femministe e lavoratrici sessuali, la consapevolezza che non tutte lavoriamo nelle stesse condizioni (ad esempio: lavorare in strada o all’interno di uno spazio chiuso e protetto, negoziare più facilmente prezzi più alti per il servizio offerto) e che alcune di queste disparità sono più strutturali (essere in possesso di documenti validi per soggiornare nel territorio, dover affrontare razzismo oltre che sessismo, essere esposte alla transfobia) non ci impedisce di solidarizzare fra di noi. Tutto quello che facciamo in questo ambito è per l’amore che proviamo l’una per l’altra, per coscienza di classe e di genere, perché lottiamo per la nostra libertà.
Ma… le persone che non svolgono lavoro sessuale? Dove si posizionano e che cosa possono fare per esprimere solidarietà? Secondo le proprie possibilità, ogni persona può trovare un modo per sostenere le lotte delle lavoratrici sessuali. Si può prendere posizione contro i discorsi che stigmatizzano le prostitute, l’odio verso le puttane, quando vengono fuori; si possono diffondere le rivendicazioni delle lavoratrici sessuali, non in modo acritico, ma consapevoli che sono loro ad avere più voce in capitolo; in generale si può dare un sostegno materiale alle loro attività politiche, mettersi in gioco, dedicare del tempo e sbattersi6.
Nel contesto dell’emergenza coronavirus, quello che hanno fatto le autorità a berna7 si discosta molto dal senso di responsabilità e solidarietà di cui parlo. I rappresentanti dell’autorità, facendo leva sul proprio potere, hanno chiesto ai gestori dei locali e case di appuntamento di ospitare gratuitamente le lavoratrici sessuali che non hanno un alloggio alternativo, hanno dichiarato di aiutare economicamente le lavoratrici straniere che volevano andare via dalla svizzera. Inoltre, hanno affermato di aver attuato provvedimenti speciali per prolungare il loro soggiorno. Ciò che hanno fatto non lo hanno fatto certo per solidarietà, ma perché sentono di dover giustificare il fatto che la prostituzione in svizzera è tassata e quindi hanno un interesse concreto nel continuare a trarre profitto dal nostro lavoro (a dimostrazione che il peggior pappone è lo Stato!). Da questi aiuti ovviamente vengono escluse coloro che lavorano al di fuori della legalità, verso le quali in realtà le stesse benevoli autorità potrebbero scatenare la repressione, attuando multe, denuncie, processi o deportazioni.
La mia idea di fondo è che la solidarietà non dev’essere condizionata da un tornaconto personale o politico, altrimenti è strumentalizzazione e sfruttamento. Per me è ovvio che coloro che reprimono me o le mie colleghe non saranno mai dalla nostra parte e, quando si mostrano benevoli, al massimo, se possibile, cercheremo di strappargli ciò che loro ci rubano. In quanto lavoratrici sessuali con coscienza di classe, non ringrazieremo gli sbirri né coloro che per pulirsi la coscienza ci offriranno una qualche forma di “sostegno”, sia esso monetario, materiale o di altro tipo.
Tante forme di solidarietà e lotta
Apprezzo molto le attività portate avanti dalle compagne femministe e lavoratrici sessuali e credo che sia importante immaginare altre forme di solidarietà anche nei confronti delle persone detenute e delle persone migranti senza documenti. Durante una crisi o un’emergenza sono queste alcune delle categorie che subiscono le conseguenze più pesanti; senza dimenticare che anche in tempi “normali” le condizioni di vita sono difficili e quindi il mutuo appoggio andrebbe sempre coltivato. La società in cui viviamo si fonda su varie forme di oppressione che promuovono la divisione in rigide categorie di genere, “razza” e classe e puniscono chiunque osi trasgredire le norme e le leggi. È indispensabile contrastare il sistema patriarcale capitalista e colonialista con la solidarietà, ma anche passare all’attacco e praticare l’autodifesa; questi sono tutti strumenti che da sempre appartengono alle lotte rivoluzionarie, usiamoli! Teniamo gli occhi aperti, camminiamo fianco a fianco fra compagne e sorelle, lottiamo contro chi ci opprime!
Se avete la possibilità di sostenere economicamente le campagne, fatelo; se potete contribuire in un altro modo, fatelo; ogni gesto solidale ha un valore. Se siete lavoratrici sessuali e avete bisogno di sostegno economico, contattate le organizzatrici delle campagne, tutto questo è per voi ♥. Nessuna da sola!
Pampayruna migrante