>>>>>>https://my.pcloud.com/publink/show?code=kZnbamkZLnNNJ4v47KJhbpcNXNmxUbujlWi7<<<<< Serena – Abbiamo deciso di dedicare questa tavola a violenza e sessismo negli spazi queer. Alcuni dei tavoli, come il tavolo TFQ Macao nascono proprio dall’esigenza di combattere la violenza negli spazi. Oggi vorremmo condividere non solo i pensieri sulla violenza ma anche le pratiche di gestione della violenza. Il presente vede poca comunicazione, ed eventuali atti e fatti non conducono ad una più ampia condivisione - troppo spesso il confronto e le risposte rimangono circoscritte agli ambienti laddove si verificano. L’obbiettivo è dunque elaborare collettivamente pratiche così che si possano diffondere nei diversi spazi autogestiti ed attraversati. Che cosa fare quando si riconosce violenza? Si allontanano compagnx? Se ne discute nei collettivi o ci si rivolge alla rete? Spieghiamoci anche tra noi, e ascoltiamoci nelle nostre storie. Saya – In lista ho visto che sono girati e ho fatto girare testi di approfondimento. Non so se li avete letti e ne ho portate copie. Non sapevo se riguardano spazi etero o no. In particolare mi interessava quello riguardante la violenza in relazioni queer. Carlo – Qualche domanda per inziare il confronto: come gestire episodi di violenza quando queste persone sono state esse stesse soggette a forme di discriminazione? Assunto come dato di fatto una distribuzione di risorse e privilegi ineguale, quali sono le dinamiche di privilegio coinvolte in un'azione, relazione o contesto di violenza? Quali sono intersezioni tra privato e politico, quando un gesto o un comportamento violento hanno luogo tra persone che partecipano a comuni percorsi di lotta? Ludi – Nell’ultima assemblea del tavolo TFQ Macao abbiamo discusso anche di casi specifici che ci sono stati raccontati. Per me punto critico forte è che la violenza non sempre è riconosciuta da chi la ha subita. Macao di per sé non è entità transfem queer, il tavolo però si. Non dovrebbe essere solo violenza in spazi queer, ma anche oltre le divisioni queer/normato, i meccanismi della violenza sono gli stessi. Maresa – E' ormai divenuto insostenibile il protrarsi della negazione della violenza all'interno di collettivi. La violenza si interseca anche attorno ad altre dinamiche. Chiediamoci perché in uno spazio sociale possa poi sfuggire una cosa del genere. Carlo – Quali sono le forme di violenza? Fisica, sessuale (anche atti non consensuali all'interno di un rapporto sessuale iniziato con consenso), prevaricazione e coercizione, fino anche a comportamenti che privano delle possibilità di riposo e rigenerazione. Marghe – Spesso si parla di violenza nelle relazioni come di un escalation. Si raggiunge un punto di rottura, ma quali sono le forme di microviolenza che mettiamo in atto e non riconosciamo? Come facciamo nei gruppi queer ad evitare anche questo? Teniamo presente negli spazi queer che le dinamiche sono più complesse, quali sono le dinamiche di privilegio che abbiamo introiettato. Livia – Parlando in questo momento di spazi e relazioni queer, la domanda per me fondamentale è: in che modo la violenza è espressione di potere? Come fa ad esserci violenza che magari è prevalentemente psicologica? Carlo - C’è anche violenza fisica però. Alexis – Un tipo particolare di violenza nei rapporti lesbici è quello in cui la madre biologica di un figlio fa valere questa cosa come arma. Gian – Il potere è una cosa che si insinua anche dove non dovrebbe, anche negli spazi queer, anche nella stessa classe. Adotterei un approccio quasi immunologico, prevenendone la propagazione. A me è capitato di capire che faccio violenza quando ne ricevo di un certo tipo. Chiedersi che cosa di quel che facciamo è violenza: in una prospettiva antispecista, anche solo la necessità quotidiana di mangiare in questo sistema economico ci impone forme di soft-violence. Carlo – Essere queer non vuol necessariamente dire che si condivida anche lo stesso retroterra sociale e culturale, la stessa situazione economica e via dicendo. Gian – Per me dire che siamo una coppia queer vorrebbe dire che lavoriamo ogni giorno per estirpare queste differenze. Lorenzo – In particolare negli spazi froci, le storie personali (come coming out ed altre esperienze di frocità ) possono contare, come pure l'autorevolezza politica. E' raro che negli spazi politici siamo tuttx sullo stesso piano. Saya – La violenza etero e quella queer hanno somiglianze, non tutte le relazioni queer sono uguali. Per me cmq politicamente non si può rendere uguali violenza patriarcale etero con quella queer. Non si possono interpretare allo stesso modo di quelle etero. La violenza viene pensata e vissuta in un altro modo nelle relazioni queer. Terrei conto delle specificità delle persone queer. Escludere chi ha fatto violenza significa rispedire la persona queer nel mondo etero. Mentre escludere un uomo eterocis da tutti gli spazi politici non significa esporlo a un pericolo, escluderne unx queer invece sì. Rispetto alle violenze all'interno delle relazioni queer, una possibile risposta è responsabilizzarsi come comunità , e prendersi come comunità la responsabilità di gestire quella violenza, in modalità diversa da quella etero. Hanay – Le dinamiche di potere sono spesso inconscie. Scolarizzazione, saper parlare in pubblico, è potere. Spesso le nostre assemblee sono i luoghi meno democratici che conosciamo (ad esempio, prendono parola sempre le stesse persone). Propongo metodo del consenso, evitare la votazione, rendere le decisioni veramente orizzontali. Umberto Pizzolati, che lo ha già fatto in primavera a Macao, potrebbe fare un altro workshop con noi – se ci interessa lo possiamo riprorre, facciamo un gruppino. Carlo – Se rifiutiamo l’esclusione politica da tutti gli spazi per non rispedire appunto in Eterolandia (come dice una delle fanzine segnalate da Saya) le persone queer che commettono violenza, quali strumenti abbiamo per gestire la violenza e chi la agisce? Alice – Anche attraverso la costruzione di strumenti, quelli che definisco "dispositivi". Le fanzine sono un ottimo strumento di condivisione. Creano delle micronarrazioni, sono un dispositivo di narrazione affettiva, per partire dal sé, condividere la propria storia / uno spazio potrebbe creare dei microgruppi per creare dei testi, un kit di autodifesa, un contenitore di esperienze e pratiche. Salute mentale, antipsichiatria, c’è un discorso di fragilità da affrontare – una fanzine portrebbe essere un luogo per raccogliere queste riflessioni e costruirle insieme come gruppo. Hanay – Con workshop non intendo creare un dispositivo pedagogico frontale, ma co-costruire la capacità di ascolto fondamentale e strumentale alla comprensione di ciò che accade. Giodim – Quali strumenti una collettività si può dare? Se chi ha subito la violenza non vuole aver a che fare con chi l’ha commessa, questo è un nodo da affrontare. Alexis – Si è parlato spesso di coppia etero/coppia lesbica. Io dal movimento bisex ho una prospettiva e un linguaggio diverso, ed occorre prestarvi attenzione anche in questo contesto per non invisibilizzare alcune soggettività . In inglese diciamo "same-sex couples". Inoltre, statisticamente si dimostra che le donne bisex sono le più esposte alla violenza (ipersesessualizzazione, continua esposizione a stress...), teniamone conto. Manuela – Per poter rilettere sugli strumenti, riflettiamo sulle forme della violenza agita, per parlare di quali sono gli strumenti. Livia – Recuperare alcuni strumenti del femminismo come la pratica dell'autocoscienza. Propedeutica ma non sufficiente, può fornire primi materiali dai quali partire. Giacomo – Parliamo di violenza nel momento in cui un determinato atteggiamento diventa esplicito, perché denunciato da chi subisce la violenza.Prima ancora di imparare ad affrontare violenza nella sua più esplicita manifestazione, occorrerebbe parlare della capacità di gestire la rabbia e il conflitto affinché questa non diventi la boa a cui aggrapparsi. Io per primo mi sto rendendo conto attraverso questi confronti, e attraverso la mia relazione con un'altra persona trans, mi rendo conto di essere estremamente violento, di avere meccanismi che riconosco derivare dalla mia educazione e dalla mia incapacità di gestire il confronto. Vengo da Bergamo, e anche quello è stato uno svantaggio per la mancanza di comunità in cui queste conversazioni e questo confronto siamo possibili. Butto sull’altra persona le mie difficoltà ... Minimizzare può essere un atto di fiducia nei miei confronti, ma non serve. Come possiamo gestire rabbia e conflitto prima della violenza, sia da parte di chi la agisce sia da parte di chi la riceve? Carlo – Fino a che punto è responsabilità della vittima la gestione della rabbia di chi agisce violenza? Quando scatta la violenza c’è una persona che decide di ricorrervi per prima - come se tra due tigri una sola decidesse di colpo di usare gli artigli. Alessandra – C’è differenza tra potenza e violenza? Non necessariamente siamo tutte tigri. Ho molta più difficoltà a capire dove sta la violenza psicologica. A volte sento persone che si dichiarano vittime che poi capire che chi ha aggredito è molto più vittima. Non ci sono due casi uguali. Temo che queste questioni non siano neanche risolvibili. Maresa – Anche io per distinzione tra potere e potenza. Capiamo attraverso il dialogo quali sono gli assi di potere che proviamo a scardinare. Con arrendiamoci, si possono risolvere questi problemi. Le violenze continueranno ad avvenire e i nostri spazi sono avulsi da queste dinamiche, non molliamo la presa, altrimenti ne perdiamo in saggezza. Momenti come questi sono fondamentali, anche se magari andiamo per sommi capi. Ci sono persone che sono state coinvolte in violenza e potrebbero guidare le riflessioni. Ludi – La mia esperienza è di violenza psicologica, ricevuta e perpetrata. Mi è capitato di far notare immediatamente al gruppo assieme al carnefice che stavo subendo violenza per controllare che davvero la stessi subendo o fosse solo una mia mala interpretazione, e sono stato rassicurato che la mia percezione di subire violenza era fondata. Ma episodi di bodyshaming per esempio sono stati ascoltati dal gruppo senza battere ciglio, invece di parlare. Carlo – Portare all’attenzione del gruppo episodi di violenza quindi è utile? Saya – Propongo di avere altri momenti per continuare la discussione, parlare meglio dei fatti personali, elaborare insieme. Ringrazio Alexis per la puntualizzazione sui tipi di coppie non-etero. Alcune cose sono cancellate nelle discussioni come quella di oggi, per esempio razza e transessualità . Molti nei nostri materiali e discussioni che circolano sul tema della violenza si basano su relazioni etero, ma io non mi ci ritrovo perché non rispecchiano le mie esperienze di relazioni Lucia – Da un anno abbiamo attivato un percorso "Spazi più sicuri", per attivare proprio tutto quello che stiamo trattando qui. Lavoriamo molto sulla sensibilizzazione a queste tematiche. Facciamo tavoli di lavoro, e abbiamo lavorato sull’emergenza. Come gestire sul momento? A volte far dialogare le persone o farle restare nello stesso contesto non è la cosa migliore. E con chi ha agito violenza che fai, lx spedisci fuori? Noi abbiamo scritto dei casi specifici, inventati, a partire dai quali è venuto fuori il putiferio, anche prioprio a partire dal riconoscimento della violenza. Persino le soggettività queer militanti si sono spaccate sulla riconoscibilità della violenza. Molte storie, specie quelle che mi toccano più dal vivo, posso avere difficoltà a vederle. Partendo da storie inventate possiamo capire meglio. Gli spazi di autocoscienza sono stati utili, ma negli ultimi anni l'autocoscienza è sprofondata nel buco nero della psicologia, e si è snaturata diventando non-politica. Lavorando in piccoli gruppi tutelati possiamo costruire un percorso politico. Penso che quando si mettono in gioco questi gruppi sia opportuno mettere in mezzo qualcunx che sia specialista di facilitazione, persone con una esperienza di studio. Facilitatorx, mediatorx, counselor. Persone che sappiano gestire l’emotività di altre persone quando la portano fuori. Penso che sia rischioso, non tutelante, violento, mettersi gioco in piccoli gruppi senza aver un minimo di tutela per tutte le persone coinvolte. Se per esempio a partire dal gruppo di oggi nasceranno dei piccoli gruppi di autocoscienza, credo che tutelarsi sia una responsabilità politica. Saya – D'accordo, ho visto sulla mia pelle qual è il rischio. Esistono queste persone nei nostri ambienti? Conosci persone che sarebbero disponibili? Ha senso dividersi in gruppi più piccoli, magari non misti? Per me questo è strumento molto forte che mi fa sentire più a mio agio. Capiamo come parlarne. È utile capire ogni volta con chi si sta parlando, soprattutto in un gruppo non misto. Alexis – Sul riconoscere le violenze: una cosa che non mi sarei mai aspettato, quando è capitato a me, in modo anche abbastanza esplicito, è che ho riconosciuto il fastidio, la mia incapacità di reagire, ma se non ci avessi pensato dopo, non l'avrei riconosciuto. Mi ha stupito che nonostante dovrei avere la preparazione teorica per riconoscere la violenza, sul momento non l'ho riconosciuta, e mi sono reso conto che a moltissimx capita la stessa cosa. Nella mia esperienza all'interno di una struttura, la condizione della figura professionale è stata posta per ostacolare il proseguimento del percorso politico. Livia – Autoscienza nata in maniera molto diversa da come è diventata, prendendo psicoanalisi collettiva uno scavo interiore continuo che non è diventata mai politica. L'autocoscienza come inizialmente proposta conduceva a: 1) riconoscere che i problemi non sono individuali; 2) dare a questi problemi un nome; 3) raccogliere materiali e confrontarsi collettivamente; 4) individuare questi problemi come espressione di un rapporto di potere. Raccontiamoci brevemente nei gruppi più piccoli di questo e torniamo dal gruppo grande con resoconti. Margo – Ciascunx si sente più al sicuro in certi tipi di spazi, io per esempio in quelli queer. Come costruire uno spazio più sicuro? Diciamoci anche quali sono le condizioni che ci mettono a nostro agio. Ci vuole coraggio anche per esplicitare il proprio vissuto. Io adesso lo trovo perché mi sono convinta che non ho niente da perdere: possiamo cominciare dalle assemblee, col dire quando non ci sentiamo a nostro agio, col cominciare a trovare le alleanze che ci permettono di dare voce con più facilità al nostro disagio. Chiaretta – Volevamo esporre all’assemblea le problematiche che ci hanno impedito di tenere questo incontro a Genova. È indicativo di come un problema personale ci ha creato difficoltà politiche fino al punto di non poter gestire l'organizzazione. Abbiamo avuto contatti solo con la persona coinvolta. Non abbiamo avuto contatti con altre persone del percorso e quindi non abbiamo potuto. Ci è stato risposto che fare a Genova questo tavolo sulla violenza non era giusto, che non sarebbe stato giusto che lo facessimo con entrambe le persone coinvolte. Bisognerà trovare un modo per arrivare al confronto tra le persone coinvolte. >>>>da qui comincia la parte registrata<<< Carlo - Io, innanzitutto, userò "mi reputo" la persona aggredita - ho ricevuto una testata sul naso da una persona che fa parte del Noncollettivo Queer. Lo dico perché si possiate ricevere le mie parole consapevoli del mio coinvolgimento, ma non mi interessa parlare in questo momento della mia questione personale (ne parlerò con chiunque ne avrò voglia e molto probabilmente scriverò una fanzine a partire ciò che è accaduto e le riflessioni che ne sono seguite) quanto della gestione politica di questo evento. Non penso che questa sia una questione personale nel momento in cui - in questo caso io - mi dichiaro a disagio a trovarmi in un ambiente con una persona che l'ultima volta che l'ho vista s'è dimostrata incapace di gestire la propria rabbia al punto che mi ha tirato una testata sul naso. Dunque io, come Carlo, non ho alcuna intenzione di trovarmi nello stesso posto con questa persona. È pur vero che questa persona fa parte di un collettivo. Il collettivo aveva parlato con me poco dopo questi fatti, mi sembra di ricordare chiedendomi come avrebbero dovuto comportarsi come collettivo nei confronti di questa persona. Thrix - no, il nostro collettivo ce lo gestiamo da soli, volevamo solo sapere come gestirci Marciona. Carlo - D'accordissimo su questo, rimane però il problema di come gestire la mediazione in questi casi. Dal punto di vista della gestione politica, infatti, quando ho espresso la mia posizione sulla partecipazione all'incontro di Genova, il collettivo ha risposto come ha appena detto Chiara: che avevano parlato solo con me e che io stavo imponendo un aut aut. Vero: per me, se non si è fatta una mediazione prima, questa non si fa in un incontro pubblico, né in una tavola nazionale come questa. Mi sarei aspettato che, sulla scia della tradizione dei gruppi queer e transfemministi, il gruppo che contiene la persona che ha compiuto l'aggressione ascoltasse la persona che l'aggressione l'ha subita, come prima posizione da assumere: quindi fino a che io esprimo questo disagio, non vorrei sentirmi contestato il perché e il per come questo disagio non vada espresso. Il comunicato di Genova contiene un passaggio che sembra dire "chi è causa del suo male pianga sé stesso". Ho esitato a farlo circolare sulla mailing list di Marciona, ma probabilmente utile perché le cose siano valutate. Ciò di cui accuso - parola che uso per scelta - il collettivo di Genova è l'ingenuità e l'incapacità di gestire politicamente questa questione. Aggiungo inoltre che quando mi sono accorto di essere solo io l'interlocutore in questa faccenda che questa riflessione - cioè di non mettere insieme me e il mio aggressore nella stessa stanza - ho immediatamente messo in contatto il collettivo con tutta una serie di persone con cui avrebbero potuto confrontarsi. Il fatto che da ottobre non vi siate fatte questa odmanda mi fa pensare che ci avete pensato molto poco, perché dovrenne essere un'ovvietà che in una situazione del genere prima si media con le due parti e poi si propone un incontro pubblico. Se fosse successo a un'altra persona, prima di mettere questa nella stessa stanza io avrei fatto una mediazione attraverso parti terze, così non sarei arrivato ad una settimana immaginandomi ch'era scontato che le due persone sarebbero potute essere nello stesso posto. Thrix - Per me era scontato a seguito delle cose che ci siamo detti è che lui non sarebbe venuto a Milano, tu non saresti venuto a Genova. Abbiamo sbagliato su questo. Carlo - Non c'è pari condizione tra chi aggredisce e chi è aggredito. Thrix - Non so quali siano state esattamente le dinamiche, ma non sta a me farlo, perché non è questo il punto. Hanay – Sono contenta che parliamo di un caso concreto, possiamo essere tuttx parte del problema e della soluzione. Come dice Lucia, non possiamo mettere aggressore ed aggredito nella stessa stanza, è pur vero che non possiamo escludere del tutto da una parte non si può mettere chi ha aggredito e chi è stato aggredito (una richiesta del tutto legittima), non possiamo semplicemente escludere. Bisogna "stare con il problema", gestire la relazione con chi commette l’aggressione. Questo però vuol dire che qualcuno dovrà farsi carico di stare a contatto col problema. Thrix - Su questo v'è stata la personale - non nostra, perché non sta al collettivo ma alla persona - rinuncia a essere presente. La mia personale posizione era che (l'aggressore) ci dovesse essere al tavolo che lo riguardava, perché ha tutto il diritto di esserci. Alice – Giusto non escludere, ma con una persona che aggredisce o fa un gesto impulsivo di violenza bisogna imporre che l'aggressore si assuma la responsbilità . Il collettivo, sempre in una dimensione di riflessione e di gestione del portato emotivo, deve però invitare a fare un passo indietro. La responsabilità e la riflessione personale sui propri comportamenti, la questione politica, è anche fare un passo indietro, e il collettivo sta vicino anche in questo percorso di consapevolezza, una cultura del passo indietro. Meno male che abbiamo la possibilità di discuterne. Avrei detto al responsabile di starsene a casa. Thrix - Ripeto: questa persona è stata a casa due volte, stavolta si è a casa nostra. Ha detto: "non ci sono, tranne che per il tavolo che mi riguarda." Carlo - Non è però questo un tavolo che lo riguarda. E stai ignorando che vi sono stati altri episodi di violenza denunciati da donne negli ultimi mesi... Thrix - Quello che stiamo ignorando è che è stato fatto saltare il lavoro di mesi su altri temi Ed è su questo che m'incazzo io. Carlo - Io invito soltanto a riflettere su come stiamo gestendo politicamente questa cosa. Thrix - Alla cazzo di cane. Michele – Volevo aggiungere che noi quando è accaduto il fatto abbiamo pensato di tutelare in primis la persona sopravvissuta alla violenza (odio il termine vittima, preferisco sopravvissuta.). Nei mesi successivi abbiamo analizzato sia la dinamica che il rapporto con questa persona.) e portato avanti una discussione e riflessione attiva tantoché nei primi due appuntamenti in preparazione della Marciona2020 questa persona non è stata presente... Thrix - Questa persona non c'è per sua precisa volontà . Carlo - Anche per nostra, se fosse venuto sarebbe comunque stato allontanato dall'assemblea. Thrix - Poi finiva a botte sul serio. Michele - ... Posso finire di parlare? Nei quattro mesi successivi al fatto è stata analizzata la dinamica e il rapporto con questa persona – abbiamo avuto una discussione anche con la persona sopravvissuta, con una discussione e riflessione attiva della dinamica, di che cosa è violenza, e di che cosa è invece una reazione violenta. Abbiamo voluto portare questo discorso a un tavolo proprio per esporre la cosa alla discussione pubblica. Abbiamo anche altri tavoli che parlano di neurodiversità e safer spaces. Se avessimo fatto la due giorni a Genova, si sarebbe trattato forzatamente l'argomento nella discussione del tavolo safer space, bloccando il lavoro che per quel tavolo delle persone ci stanno lavorando da mesi. Non ci saremmo sentite serene. -- << Thrix nel frattempo ha lasciato l'assemblea >> -- Mestruo – Come è possibile che nel caso di una violenza grave come una testata sul naso a un collettivo, che dovrebbe condividere le nostre stesse idee, non vi sia venuto in mente come prima cosa di tutelare la vittima? (A me piace la parola vittima, perché c'è vittima e carnefice.). Andrea – A noi è scattato, non è che gli abbiamo detto di restare a casa, non ce n'è neanche stato bisogno, l'ha scelto lui per primo. Ci è anche stato fatto presente dall'esterno. Ne abbiamo discusso anche tra noi, dinamiche interne del collettivo hanno girato attorno a questa situazione, non mi sento di sentirmi dire che non ci abbiamo pensato. Saya – Se ne avete parlato, a che conclusioni siete giunte in quattro mesi? Se invece quello che la riflessione produce è una difesa della persona che ha aggredito, cercando di dipingere l'aggressore come una brava persona perché se ne è voluto tirare fuori da sé, non voglio metterlo in discussione, ma non lo trovo corretto, non mi si presenta come una buona gestione. Mi sembra solo che stiate difendendo il vostro amico, e se è così non è assolutamente corretto. Se dite che per quattro mesi ne avete parlato, mi chiedo almeno quali sono le vostre conclusioni. Non risolutive perché siamo comunque a questa tavola proprio perché è difficile trovare soluzioni, dobbiamo costruircele collettivamente. Io sono per la soluzione comunitaria, ma le vostre risposte sono troppo vaghe - a che conclusione siete arrivate? Trovo molto irrispettoso che Thrix abbia lasciato l'assemblea, mi sarebbe piaciuto dire queste cose mentre era qua. Trovo molto irrispettoso anche quanto detto ossia che secondo lei finiva a botte se l'aggressore fosse stato allontanato dall'assemblea, mi sembra una cosa che non appartiene assolutamente alle modalità che mi aspetterei in un ambiente femminista. Giacomo – Concordo con Saya. Faccio difficoltà a gestire le emozioni che derivano dai vostri discorsi, ho sentito un atteggiamento difensivo, molto di contrasto, anche aggressivo nei nostri confronti che mi ha turbato. Credo che abbiamo avuto un piano di confronto e di dialogo fino ad ora, e questo atteggiamento, come il fatto che Trix sia uscita, mi riempie invece di cose che non volevo sentire. Anche il discorso che se aggressore non c'era non doveva esserci neanche l'aggredito: il rispetto si porta a chi riceve l'aggressione, non a chi la attua; con il secondo si fa un lavoro diverso. Il vostro compagno non doveva esserci perché è lui che ha agito. Qui parliamo diritto di esserci - è chi ha ricevuto l'aggressione che deve avere il nostro rispetto perché è la persona che si sente a disagio, fuori luogo. Chi aggredisce può avere sensi di colpa, tentare di spiegare ma serve a poco perché crea solo in chi è aggredio il disagio ulteriore di doversi giustificare a sua volta, quando dovrebbe bastare dire "guarda, ho ricevuto questa roba". Hanay – Ringrazio per quest'ultimo intervento perché mi sembra ristabilisca il clima e ci metta nella disposizione d'animo di accogliere il problema di Carlo cui va la nostra solidarietà , ma ascoltiamo anche il collettivo che è venuto e che cerca di dirci qualcosa, ascoltiamo quello che hanno da dirci nonostante possa talvolta sembrare che non stiano dicendo cose giuste o anche solo nella maniera giusta. Magari loro in questo momento stanno facendo molta fatica a livello emotivo a parlare. Se son qui è perché cercano il dialogo, che vogliono problematizzare - altrimenti se ne sarebbero andatx. Io ancora non ho capito bene quali sono le cose che preme loro raccontare. Maresa – io non ho capito come per voi questa assemblea potesse interrompere il lavoro sui safer spaces che stavate facendo. Michele - Non esattamente... Chiara - Noi abbiamo sentito il bisogno di affrontare questa dinamica di violenza che si è manifestata anche con la collettività di Marciona e insieme alla persona che ha agito la violenza. Se Carlo dice che con lui non vuol essere messo nella stessa situazione sono d'accordissimo che dobbiamo trovare delle modalità per qui questo non avvenga. Ma se noi non vogliamo escludere questa persona dalla collettività e allo stesso tempo sentiamo il bisogno di avere un confronto con la collettività più ampia con cui stiamo facendo un percorso, dobbiam trovare insieme degli strumenti e capire che tipo di percorso fare per far sì che anche lui possa raccontare che cosa ha sentito e come si è sentito, e sviscerare le radici della sua rabbia. Il collettivo, nel momento in cui Carlo ha parlato dell'intenzione di portare come punto di discussione la gestione della violenza negli spazi, non è giunto a un consenso condiviso sulle modalità di gestione della tavola per il rischio che questa tematica prevalesse su altri due tematiche. Per quanto riguarda il modo in cui si è evoluta la discussione, ho provato a parlare in una maniera che non istigasse alla conflittualità , mi dispiace ci sia stata questa reazione e, personalmente, mi dispiace che Thrix se ne sia andata. Sempre personalmente trovo inaccettabile che vi sia una risposta della serie "parto a botte pure io", però relativamente questo io posso solo mantenere i miei toni. In conclusione, noi riconosciamo che sia stato profondamente sbagliato tirare una testata, riconosciamo la gravità di questo gesto; parlando col nostro compagno abbiamo cercato di comprendere tutti i passaggi tramite cui ci è arrivato, e cercando di evitare che succeda di nuovo. Io dei fatti in sé, non essendo stata direttamente coinvolta e mancando anche una delle due persone coinvolte, non posso parlare e non mi sentirei di aprire una discussione su ciò che è successo in quel momento; avrei bisogno di avere questa persona vicino a me per affrontare un discorso su come trattare anche chi ha agito violenza, come è arrivato lì chi ha agito violenza, come si deve comportare all'interno di altri percorsi chi ha agito violenza. Con la persona che l'ha agita, questo sarebbe il mio bisogno e il nostro bisogno. Questo anche il motivo per cui è saltato il tavolo a Genova: il collettivo non ha trovato una quadra sulla partecipazione della persona che ha aggredito Carlo, e Carlo diceva che non lo poteva vedere. In queste circostanze, mia opinione personale è che il tavolo non si sarebbe dovuto fare. Spero d'esser stata chiara con quest'intervento, è stato faticoso... A me piace molto l'idea dei tavoli in una situazione, un po' più ristretta perché non è facile parlare con così tante persone. Però va benissimo provare un confronto ampio. Mi piace molto l'idea di trovare delle pratiche come dei tavoli, dei momenti, delle mediazioni per affrontare questa cosa. Fare però tutto questo a Milano non sarebbe per noi facile. Lucia – Sono abbastanza esterna e mi sto orientando in un fatto che non conosco. Vorrei che la cosa ritorni nel circolo delle nostre conoscenze, che lo prendessimo ad esempio per ricavarne qualcosa. Da esterna, spero di avere la delicatezza necessaria per esprimermi, spezzerei una lancia; voi avete cercato di proteggere il vostro compagno, non l'avete buttato fuori, c’è un’intenzione positiva. Il problema però è anche che sento un’identificazione con questo compagno, e quindi si ripropone anche in questo ambito più ampio. Cioè l'idea è sicuramente quella di tutelarlo e prendere anche le sue parti, però l'idea di tutela e di considerarre un problema all'interno di un collettivo è proprio considerare il problema assieme a lui, eventualmente giungendo anche a metterci un paletto: l'azione propositiva sta anche in come arginare, non solo nel riproporre la difesa di questa persona in questo ambito qua. Nella discussione v'è stato un tale carico emotivo perché come gruppo voi avete preso le difese di questa persona, mentre dissociarsi da questa cosa permette poi al gruppo di affrontarla proprio all'interno. Chiara – A me personalmente non interessa minimamente difendere ciò che è stato fatto o dire che questa persona non ha sbagliato. Quello che mi sembra da come si parla è che ci siano delle dinamiche estremamente chiare, però vi sono delle cose che secondo me varrebbe la pena valutare. In questo caso, mentre Carlo può raccontare ciò che ha subito questa persona non... Carlo - Interrompo e chiedo scusa, ma riguardo a quest'ultima cosa detta devo precisare che la quasi totalità delle persone qui presenti non sa niente della mia storia (dinamiche precedenti, motivazioni, luogo e momento in cui il fatto è accaduto), mi sono limitato a dire "Ho preso una testata". Inoltre, sul mio caso personale ho preso poco parola, l'ho tirato fuori solo per rispondervi, e ci tengo assolutamente che non si parli della mia questione personale. Non perché non ne parlerò, anche con voi in separata sede, ma perché come tavola rotonda ci interessava capire quali potessero essere strategie politiche per affrontare episodi di violenza - sulle quali penso che in questo momento il collettivo di Genova in particolare sia molto in difficoltà ; non che tuttx noi non lo si sia per certi versi, ma il comportamento del collettivo di Genova mostra in molti modi ciò che non andrebbe fatto nella gestione della violenza - sia che ci troviamo nello stesso gruppo di chi ha agito violenza, sia che ci troviamo nello stesso gruppo di chi la violenza l'ha subita. Una cosa che si nota è che le dinamiche violente che una persona agisce nelle proprie relazioni personali e in ambito privato si portano anche in un ambiente collettivo. Parlare sopra altri interventi, mandando avanti persone che sanno meno dei fatti, per poi prendere ed abbandonare lo spazio fisico come forma di protesta è quello di cui si parlava anche all'inizio della discussione: quando noi abbiamo discussioni collettive, possiamo avercele con persone che abbandonano le discussioni? Secondo me, un dovere morale che abbiamo è non farlo, resistere, bisogna esporsi alla discussione. Io sono qui a sentire parlare dei cazzi miei - scusate - senza averli portati in piazza io; per fortuna ho un livello di solidità , istruzione, privilegio sociale tale che riesco a parlarne facendo quasi finta di non essere la vittima del trauma. Potrei reagire molto peggio, pure io volevo andarmene da qua e invece sono qua a discuterne. Molte persone si sentono a disagio, e anche per me non è stato un processo privo di traumi. Serena - Per prima cosa, stiamo esaurendo anche la proroga che ci siamo datx, cerchiamo di non allungare ulteriormente il tempo dedicato a questa prima parte della giornata. Come seconda cosa, cerchiamo di riportare la discussione su un livello più politico perché forse non ci stiamo rendendo di quanto stiamo costringendo Carlo ad esporsi su cose personali. Manuela - Questo pomeriggio è iniziato in maniera più astratta - ciascunx con i propri riferimenti - per capire strumenti e strategie, poi in un secondo momento ci siamo ritrovatx assolutamente dentro il tipo di situazione di cui parlavamo e ci siamo trovatx dentro dinamiche di cui nessunx sapeva niente e che però sono state determinanti del clima e delle difficoltà - ciascunx le proprie e senza alcun'intenzione di paragonare: il collettivo di Genova a parlare di fronte ad un'assemblea, Carlo da tutt'altra posizione rispetto alla loro. In questo momento non mi interessa analizzare le dinamiche, perché parte di queste probabilmente sono state involontarie - una comunicazione non riuscita - altre sicuramente volontarie e agite perché ritenute in quel momento le scelte migliori che si potessero fare. Una rete di collettivi ha avviato il percorso di un obbiettivo specifico, la capacità di aprire un confronto che va oltre la costruzione di una scadenza o di un evento, ma forse non è ancora così forte da assumere su di sé l'impegno di affrontare singole istanze, senza nulla togliere a un'esigenza che colgo comunque una nota positiva dall'intervento del collettivo di Genova, cioè aver espresso il bisogno di un confronto, proprio perché non hanno trovato risposte al proprio interno. Facciamo però attenzione tuttx quantx quando costruiamo questi percorsi delle diverse dinamiche, perché aver riportato questo episodio qua ha avuto un impatto non solo forte in questo momento, ma anche non semplice da gestire e delicato da tantissmi punti di vista per riuscire a rispettare le persone coinvolte - in primis, Carlo -, e le dinamiche politiche tra collettivi (perché questo è uno spazio che raccoglie collettivi politici). Cercherei dunque di separare contesti e situazioni, ripristinando anche una dimensione privata - anche perché Carlo ne parlerà con chi vorrà nella forma in cui vorrà . [fine]