Il 25 giugno 2021 scesə in piazza a Milano per la Marciona, una manifestazione queer trans femminista di soggettività e collettività che resistono alla mercificazione delle persone LGBTQIA+ e alle discriminazioni e violenze omolesbobitransfobiche, razziste, sessiste e classiste. In questi giorni pubblichiamo sulla blogga i testi degli interventi letti nei vari presidi in cui ci siamo fermatə.
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La terza fermata della manifestazione è stata in Corso Cristoforo Colombo, rinominato Corso della Resistenza Indigena. I discorsi preparati per questo presidio sono stati interamente preparati e letti da persone razzializzate lgbtq+. Li riportiamo qui divisi in due parti, in questa prima trovate una riflessione sul colonialismo che non è mai stato superato, tre interventi che spiegano cosa intendiamo quando partliamo di ancestralità delle nostre identità, un ricordo alla memoria di Sara Hegazi e due parole sulla situazione in Palestina.
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– Presentazione
Ciao sorelle razzializzate lesbiche,
ciao fratelli neri bi*,
ciao amic trans* discendenti-indigen,
ciao frocie marroni,
ciao tortas y camionas,
ciao bixas pretas,
ciao mariconas y marimachos,
ciao qari-warmis prottett dall’apu chuquichinchay,
ciao a tutte quelle che prima di noi hanno lottato contro la supremazia bianca etero-cis-patriarcale.
Siamo un gruppo di persone trans*, lesbiche, bisessuali e frocie nere, marroni e razzializzate. Abbiamo deciso di partecipare alla marciona con uno spezzone per visibilizzare i nostri corpi che si trovano al di fuori della norma etero-cis-sessuale-euro-bianca.
In questo presidio parleremo delle nostre esperienze, delle nostre storie ancestrali, di razzismo e di colonialismo.
– Corso Cristoforo Colombo
Quasi un anno fa, il 12 ottobre 2020, ci siamo trovate qua per un’iniziativa chiamata Decolonize the City. Il 12 ottobre è il giorno della Resistenza Indigena, giorno a cui il nord globale si riferisce ancora come “Columbus Day”, o giorno della “Scoperta delle Americhe”. In quell’occasione, come oggi, abbiamo sostituito il nome della via, in Corso della Resistenza Indigena.
L’Italia ha un legame diretto con il colonialismo spagnolo, e quel legame si chiama Cristoforo Colombo.
A Colombo l’Italia ha dedicato piazze, vie, aeroporti, hotel, ristoranti, musei, cartoni animati, attività commerciali di ogni tipo. Nei libri di scuola viene ancora descritto come grande “esploratore”, un uomo dal grande coraggio e tempra, e mai come lo schiavista, torturatore e genocida del popolo originario caraibico, i Tainos, e responsabile della vendita di bambin di 9 anni come schiavx sessuali.
Colombo è stato l’iniziatore della colonizzazione di Abya Yala, territorio oggi noto come America Latina. Colonizzazione che ha portato, in questi 529 anni, alla morte di circa 60 milioni di indigeni e al sequestro e schiavizzazione di 13 milioni di persone dal continente africano.
Non veniteci a parlare di era post-coloniale, perché non c’è mai stato nessun superamento, nessun dopo.
“La colonizzazione è un processo vivo che continua a sterminare corpi ed espressioni culturali al di fuori della norma bianca, cis, eteronormata, cattolica e accademica,” sostiene il collettivo peruviano Rosa Rabiosa. “Uno degli impatti più grandi della colonizzazione è la normalizzazione del desiderio di corpi bianchi in tutto il mondo, assieme alla criminalizzazione sistemica di quelli marroni e neri.”
Corso Cristoforo Colombo è il luogo che abbiamo scelto per rigurgitare la “civiltà”, il “progresso” e lo “sviluppo” in nome dei quali avete invaso, sterminato, saccheggiato le nostre terre e i nostri popoli in Abya Yala, per oltre cinque secoli.
Da quel 1492 è cambiato meno di quello che sembra: si parla ancora di “scoperta dell’America”, si glorifica Colombo e la sua “impresa navale”. Ci chiamate ancora “indianx”, “indixs”, come sinonimo di selvaggi. Siete ancora incosciamente convinti di averci fatto un favore a “scoprirci”, a “civilizzarci”.
La progredita Europa ci scruta attraverso la lente della razza e della colonialità, deumanizzando i nostri corpi neri e marroni, associandoli alla condizione animale, invece che a quella umana.
Siamo un gruppo di persone queer indix/afro-discendentx di Abya Yala e di molti altri territori che hanno subito e continuano a subire le conseguenze della violenza coloniale europea.
Siamo qua a restituirvi la vostra “civilizzazione” con la stessa violenza con cui l’avete inflitta nel corpo, ma soprattutto nello spirito della nostra gente.
Non fosse stato per la sua storia coloniale, l’Europa si sarebbe trasformata in uno di quei terzi mondi da cui oggi si sente invasa. Nello specifico, l’oro e l’argento rubato da Abya Yala, la sottomissione dei suoi popoli ha arricchito non solo la Spagna, ma l’intero continente europeo: l’ha affermato come economicamente egemone, così da potersi espandere e gettare le basi per la rivoluzione industriale, e il successivo impero neoliberale ed estrattivista con cui depreda ancora il sud globale.
Anticolonialità significa lottare per la rottura di questo ciclo, tanto fuori quanto dentro di noi
Significa estirpare il macho bianco e colonizzatore che ci portiamo dentro.
Significa esigere le dovute riparazioni economiche e la restituzione delle terre sottratte alle nostre antenate.
Significa onorare le nostre lingue originarie, così come le cosmovisioni e spiritualità di cui adesso vi appropriate.
Significa muoversi verso orizzonti di liberazione dai sistemi cis, eteronormati impostici dalla colonia, in cui le dissidenze affettive o di genere sono sacre, e celebrate in quanto tali.
Significa rivendicare l’ancestralità delle nostre identità e sessualità. Esistevamo da ben prima che la Chiesa e i colonizzatori ci demonizzassero come sodomite. Esistevamo da prima che esistessero le sigle anglofone di LGBTQIA+.
Il nostro linguaggio oggi non è solo verbale, ma anche fisico, corporeo, carnale. Siamo qua, sodomite indigene e nere, a resistere attraverso il piacere, perreando via la memoria del dolore coloniale.
Gridiamo il dolore, balliamo la rabbia.
I nostri corpi color terra e notte non sono individuali, ma collettivi e attivi attraverso la danza e il perreo sodomita. Siamo pieni di rabbia, più che di orgoglio, e siamo qua a sputarla addosso agli emblemi della vostra così falsa e marcia conquista.
Dalla diaspora gridiamo: fuoco all’ordine coloniale europeo! La nostra vendetta sta nella sopravvivenza, con la protezione delle nostre ancestre.
Come disse Tupac Amaru, torneremo e saremo milioni.
– Le nostre identità sono ancestrali
Il colonialismo ha provato a determinare molto dei nostri corpi, come i nostri corpi appaiono e cosa significano i nostri corpi. La colonizzazione eurobianca ha frustrato i corpi non-bianchi attraverso la rimozione delle esperienze di genere non-binarie appartenenti a culture altre. Conoscere la storia e riappropriarsi delle nostre identità trans e non-binarie è un dovere che ci spetta se vogliamo riscoprire le nostre identità, se vogliamo rimodularle allontanadoci dall’egemonia culturale bianca per ritrovare la nostra storia. I nostri corpi non sono binari, le nostre affetività non sono binarie, e non abbiamo bisogno di leggere Judith Butler per saperlo.
Non siamo queer, siamo ner. Non siamo queer, siamo marroni. La nostra “queerness” è ancestrale, è inscritta nel nostro passato e nell nostr antenat. Non sono gay, non sono ricc, non sono di classe media, non sono bianc né biond. Non desidero compiacere il regime eterosessuale. Non sono cittadin europe. In questi momenti non ho altri pezzi di carta se non quelli che si usano per rollare canne. Non accetto il contratto obbligatorio dell’eterosessualità tossica, che dipende esclusivamente dalla genitalità. Non sono parte della “diversità sessuale”, né della “diversità di sesso-genere”, quella sorta di costruzione concettuale “amichevole” di ciò che si discosta dall’ortopedia eterosessuale, costruita a partire dalla cis- eterosessualità. Non sono omosessuale, categoria che fa parte del discorso medico-occidentale che riduce tutto ai genitali. Se il queer è una categoria appropriata dalla bianchezza accademica diventata moda, allora non sono neanche quello. Non voglio far parte di quella categoria neocoloniale che costruisce nostri corpi. Sono intensamente ner.
– Storia del felino danzante
Nella la cronaca scritta tra il 1600 e il 1630 dal cuzquegno Santa Cruz Pachacuti intitolata “La Relación de antigüedades deste Reyno del Piru” si narra il mito del CHUQUICHINCHAY.
Quando l’inca Pachacútec era appena tornato dal Cuzco, ritrovò suo padre sull’orlo della morte e suo figlio pronto per nascere. Pertanto, decise di riunire tutti gli apus e fra di loro l’apu degli otorongos: Chuquichinchay.
Chuquichinchay (o in italiano, “felino danzante”) è il nome della divinità andina incaricata di proteggere le persone indigene di doppia natura: persone che rappresentavano contemporaneamente elementi di mascolinità e femminilità.
Nelle Ande preispaniche, la realtà era concepita secondo il principio di DUALITÀ COMPLEMENTARIA. Ciò consiste nella presenza di pari opposti che devono rapportarsi in modo reciproco per mantenere l’EQUILIBRIO sociale, culturale e politico. Le relazioni di genere erano anch’esse regolate secondo questo principio e si esprimevano nella dualità maschile (qari) – femminile (warmi).
La leggenda racconta che Pachacútec invocò l’apu Chuquichinchay attraverso chamanis QARI-WARMI, ESSERI ANDROGIN che rappresentavano l’unione complementaria fra il maschile e il femminile. La presenza di questi personaggi nei rituali sacri degli incas indica il ruolo importante che avevano nella riproduzione dell’ORDINE SOCIALE ANDINO.
Con la colonizzazione spagnola, il viceregno rifiuta le pratiche rituali andine e cerca di sterminare le persone qari–warmi come parte delle campagne di “ESTIRPAZIONE DI IDOLATRIE”. Inoltre, nel Archivo General de las Indias (1566), si proibisce explicitamente la presenza di persone femminili-mascoline nell’ambito pubblico.
– Palestina, Sara Hegazi e Sahq Alzafaran
I would like to share a new research finding with you, but before anything there is two things that are of priority to say.
Firstly we need to highlight what’s currently happening in Palestine from forced evictions, ethnic clensing, and other crimes perpetuated by the isr*eli occupation towards the palestinian people, because what’s happening in Palestine is a queer issue. When a military occupation state pinkwashes it’s image as the safe haven for queer people in the region and systematically targets, harrases, manipulates, and blackmails queer palestinians to out them inorder to use them as spies, it must be recognised as a queer issue. There will be no queer libiration until Palestine is liberated!
Second, I wanted us to pay respects to Sarah Hegazi, now, more than a year since we’ve lost her. Sarah Hegazi was an Egyptian queer activist, that was pushed into exhile by the constant and relentless harrasment of the egyption government for razing a rainbow flag at a concert.
She left a suicide note – although i must make it clear that that was not suicide but murder – the last line of which said “to the world, you were crule, but i forgive”. She had it in her to forgive but we do not, we do not forgive nor will we forget, we will keep fighting for queer liberation and we will kepp her legacy alive.
Now I’d like to tell you about a phrase I found while doing some research for an ongoing art project, sahq alzafaran from arabic literaly translating to “the crushing of saffron” is the phrase form which the word for lesbianism “sehaq” originated from. There are 2 theories from the islamic middle ages from where this phrase came from, one stating that when the brewastfeeder of the child that becomes a lesbian has too much of certain herbs – such as saffron – it creates an itch that requiers constant rubbing, the other theory stating that it’s a direct refrence to the heteronormative view of what lesbian sex looks like, which is similar to the process of crushhing the saffron. Both of these theories are redicioulus, writen by men, and a direct reference to sex; but they point to the fact that we’ve been here for so long, queer women have been part of the culture for so long that there are men speculating about the reson for there exitance hundreds of years ago.
We’ve always been here!
Queerness is not a western invention or a new thing, it is part of our cultures, and just to show how deep of a part of the culture it is, there’s a traditional sudanese wedding sung in every single wedding, known to most people as a symbolism for the family of the bride saying goodbye, but after a little bit of research i found out that the true story behind it is that it was written by a woman for her girlfriend who was getting married to a man. So it’s not just that we as queer people from the swana region exist within the culture, but we exist within your participation of the culture, at your straight traditional, sudanese weddin, a queer song was playing!
Lastly I would like for you all to help me chant this, it’s in arabic but I will try to translate, the prhase itself goes
ya milano noti w joti kol ally fi alhafla loti
با ميلانو نطي و جوطي كل اللي في الحفلة لوطي
which means
milano jump up and go crazy because evrybody at the party is a faggot!