Il 25 giugno 2021 scesə in piazza a Milano per la Marciona, una manifestazione queer trans femminista di soggettività e collettività che resistono alla mercificazione delle persone LGBTQIA+ e alle discriminazioni e violenze omolesbobitransfobiche, razziste, sessiste e classiste. In questi giorni pubblichiamo sulla blogga i testi degli interventi letti nei vari presidi in cui ci siamo fermatə.
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In un anno e mezzo di pandemia, la politica italiana e lombarda hanno messo in primo piano solamente gli interessi delle imprese e i media ripetevano il binomio imprese e famiglia così tante volte che ogni volta una persona queer in Italia andava in bagno a sboccare. Salvare l’economia, salvare la nazione: una politica e una retorica che veniva da piangere. E mentre i contagi aumentavano, le fabbriche rimanevano aperte e i governi seguivano le indicazioni di Confindustria, mentre le persone che rimanevano a casa si trasformavano in sbirri denunciando le infrazioni più sceme. I controlli nelle fabbriche e negli allevamenti intensivi erano pochissimi mentre per le strade le persone raccoglievano multe come fossero figurine mentre provavano a prendere pausa da una condizione di asfissia, di violenza domestica e, per tantissime, troppe persone, di povertà. Nel frattempo, le condizioni delle nostre vite hanno visto un rapido peggioramento: ci siamo sucate licenziamenti a palate nonostante il blocco (che adesso vogliono anche eliminare); la disoccupazione è schizzata alle stelle, soprattutto per donne, giovani e stranierx; siamo ritornatx in lockdown nelle case a convivere a stretto contatto con la matrice personificata della violenza patriarcale e le violenze contro noi donne e persone lgbtqia+ sono aumentate; sex worker in tutto il paese si sono ritrovatx senza guadagni e senza tutele e sostegni e una sanatoria fuffa è stata emanata ma ha aiutato un numero ridicolo di persone senza permesso di soggiorno, evadendo soltanto il 5% di richieste pervenute…
Lo abbiamo urlato a gran voce durante le piazze che si sono accese costantemente durante e dopo i lockdown: le misure contentino previste dal governo per fare sopravvivere le persone non bastano. Precarx e lavoratx in nero in questi mesi si sono trovatx esclusx da queste misure che sono state solo una toppa per attendere di tornare allo sfruttamento di sempre, forse anche peggio di prima. Il problema è arcinoto, non ci voleva una pandemia per capirlo: il problema è la società dei profitti, un capitalismo che sfrutta troppe persone per l’accumulazione di troppo poche.
La soluzione, ripetuta fino allo stremo delle nostre forze, è reddito universale e incondizionato. È una misura di redistribuzione della ricchezza: togliere almeno un poco da coloro che hanno a tal punto da non farsene niente, per darlo a chi non ha nulla, a prescindere dalla condizione, status, identità, dalla promessa di lavoro, dalla condizione occupazionale futura o passata, dal paese di origine, dalla cittadinanza e dal colore della pelle. Non è difficile e nemmeno dannoso per chi ricco lo è già davvero. Ma appena anche i più moderati come il cerchiobottista Enrico Letta provano a recuperare un minimo di credibilità a sinistra proponendo una tassa sulle successioni, i conservatori dei privilegi a destra urlano all’esproprio proletario. E nel frattempo l’Italia delle piccole e medie imprese, della brava gente, quella dello sfruttamento su piccola scala lamenta la poca voglia di lavorare di questi cciovani che preferiscono un reddito di cittadinanza (che fa ridere) a una giornata di servitù per 500 euro al mese. Ristoratori indignati ovunque e noi ingrate fannullone.
Non solo operaix, non solo camerierx. Viviamo in una città in cui i lavoratx nella comunicazione, nel web, nella moda, nel design che popolano il cognitariato del nuovo corso del capitale, devono lavorare a 800€ al mese in stage e apprendistati dovendo pagare affitti spaventosi, ma dopotutto abbiamo (ma non tuttx) una laurea, la stazione di porta Venezia è colorata di rainbow e lo spritz mi è servito in ex officine e in ex barattoli di confetture. Nulla di male, per carità, ma per aiutare le persone che studiano, lavorano, persone LGBTQIA+, donne, persone non bianche, prime, seconde e terze generazioni, sono necessarie soluzioni che migliorino gli aspetti materiali delle nostre vite. Delle scenografie del capitale entro le quali viviamo le nostre condizioni di persone sfruttatx, se non ci sono misure efficaci su welfare e reddito, non ce ne frega nulla: non siamo più dispostx a farci ancora ingannare dalle luci e dai colori di una città blindata e per i soliti pochi.
Constatiamo, quindi, quanto il mantenimento dei privilegi renda faticoso fare passare il messaggio che mettere in comune e distribuire equamente le ricchezze è necessario per garantire l’autodeterminazione di tuttx, è necessario per liberarci dai vincoli del lavoro salariato, del lavoro di cura non retribuito, per riprenderci il nostro tempo, le nostre energie e smettere di dedicarle ad attività alienanti, spesso inutili, che giovano solo a terze persone, padroni, ricchi, borghesi, bianchi, eterosessuali che delle nostre vite se ne fottono bellamente.
Di nuovo, il reddito universale è una misura di redistribuzione della ricchezza in un paese in cui in dieci anni lo 0,1% della popolazione ha visto raddoppiare il proprio patrimonio personale, portando quei 50mila super privilegiati a possedere il 10% della ricchezza nazionale. E il divario è aumentato esponenzialmente durante la pandemia, dove solo i numeri relativi ai profitti delle grande piattaforme digitali fanno venire i capogiri: mentre lx dipendenti di Amazon si organizzano per denunciare le pessime condizioni di lavoro a cui sono obbligatx, e le piattaforme di delivery ignorano i rider in costante sciopero, la Digital Tax varata in Italia dopo fatiche si rivela fallimentare e i boss come Bezos si rivolgono ai paradisi fiscali pur di arginare gli “spaventosi” attacchi ai profitti delle proprie aziende – tanto per capire le dimensioni del fantomatico danno, stiamo parlando di un’imposta del 3% sui ricavi delle imprese che superano 750 milioni di euro di ricavi globali.
Ecco, come se non bastasse, di fronte a un intatto, immacolato, pacifico, agognato e protetto allargamento delle disparità, i lavoratori della logistica in sciopero alla FedEx di Tavazzano sono stati picchiati da squadracce di fasci e Adil Belakdim, 37 anni, sindacalista Sicobas, anch’egli in sciopero a Biandrate, è stato travolto da un camion, trascinato per dieci metri e ovviamente ucciso. Quindi, non solo ti becchi la povertà ma se provi a manifestare contro l’abbassamento dei guadagni e delle tutele dei dipendenti, vieni picchiatx o se vuoi anche ammazzatx, e viva la democrazia. Lo Stato borghese di fronte a questo crescente conflitto tra capitale e lavoro alimenta le braci e inietta denaro pubblico nelle casse delle grandi aziende come Italo che ha chiuso l’anno con attivi da capogiro ma giusto un po’ minori rispetto ai precedenti.
Reddito universale, quindi, come misura per rendere tutte, tutti, tuttu, autonomx dai vincoli e dalle catene del lavoro, liberx dalla dipendenza nei confronti di famiglie eterosessuali, dalla riproduzione obbligata della forza-lavoro, da mariti violenti e dalle pastoie di un regime assistenziale statale lento e insufficiente. Per noi persone LGBTQIA+ il reddito universale è una misura di autodeterminazione indispensabile, per una serie di motivi che palesano l’intersezione tra oppressione ciseteropatriarcale, capitalista e razzista: basti pensare alla difficoltà che soprattutto le persone trans e razzializzate vivono nella ricerca di un lavoro e mentre lavorano quando ci riescono, e al gender pay gap che ancora nel 2021 affligge le donne. Secondo una ricerca del 2020 dell’Agenzia UE per i diritti umani, il 23% delle persone LGBT+ in Italia dichiara di aver subito discriminazioni sul posto di lavoro, il 33% afferma di non arrivare a fine mese. I più vulnerabili risultano essere le persone transngender e intersex, che riferiscono quasi il doppio delle violenze subite rispetto ad altre soggettività della nostra comunità. La ricerca mostra anche difficoltà maggiori per le persone LGBT nella ricerca di una casa (11% media UE), nell’accesso alle cure private (16%), nell’accesso all’istruzione (19%).
Non Una di Meno e il movimento transfemminista, in una riflessione politica che parte dalle lotte degli anni ’70 per il salario al lavoro domestico, ci insegnano che il reddito di base è uno strumento di autonomia che consentirebbe una maggiore inclusione sociale per tutte le soggettività ai margini e un terreno di lotta politica per tuttx coloro che subiscono le varie forme di sfruttamento operate dall’estrattivismo di questo sistema. Al reddito, è necessario accompagnare un welfare universale, gratuito e accessibile a tuttx: non basato dunque sul modello familistico vigente, piuttosto capace di riconoscere garanzie e diritti sociali. Bisogna riconoscere e promuovere esperienze autogestite di welfare nelle forme di centri antiviolenza, case rifugio e consultorie. Bisogna versare soldi pubblici nei servizi dedicati all’infanzia, alla disabilità, alla salute, alla cura delle persone anziane, tutti settori che in pandemia hanno mostrato quanto la privatizzazione abbia eroso il sistema sociale. Rivendichiamo il diritto ad abitare perché la precarietà lavorativa e la povertà ostacolano costantemente la possibilità di godere di una casa stabile e sicura.
Dobbiamo potere lavorare meno o non lavorare affatto a seconda delle necessità e dei desideri di ciascunx: dobbiamo essere liberx di decidere autonomamente come gestire il nostro tempo e i nostri soldi. In un mercato del lavoro che si muove verso una sempre maggiore specializzazione e automazione, i lavori di cura si riversano sempre più numerosi, faticosi e sempre meno redditizi sulle spalle delle donne, soprattutto quelle razzializzate: basta pensare alle lavoratrici del settore della pulizia e della cura degli anziani. Il fenomeno è alimentato da una crescente visione bianca, imprenditrice e capitalista tutta occidentale che limita gli obiettivi del femminismo alla conquista da parte delle donne dei posti di potere nelle grandi aziende e nelle istituzioni. Il reddito non deve costituire uno strumento di potere nelle mani di pochx: il reddito universale costituisce una misura di contrasto allo sfruttamento globale, che argina il femminismo imprenditoriale e occidentale per poche e che si oppone alla divisione razziale del lavoro.
Abbiamo partecipato allo sciopero globale femminista dell’8 marzo, sciopero insieme vertenziale, sociale e politico, per rifiutare la violenza neoliberale dello sfruttamento e della precarietà, per sovvertire le gerarchie sessuali, le norme di genere, i ruoli sociali imposti. E anche oggi, alla Marciona queer trans femminista, urliamo: lotta anale contro il capitale!